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LIBRO QUARTO 17

come maggiore, a me per fine riserbato nelle mie miserie. A questa niuna cosa peggiore mi può seguire se non morte. Io la disidero: mandalami, acciò che gli altri campino, e la tua voglia s’adempia e i miei dolori si terminino. Sazisi ora ogni tua voglia, e in questo finiscano le tue fatiche e i miei danni. O miseri parenti rimasi sanza figliuolo, confortatevi, ché più aspro fine gli seguita che voi non gli dimandavate: egli è ora nelle reti tese da voi miseramente incappato. Le vostre operazioni questa notte avranno fine e la vostra letizia non vedrà il morto viso, il quale vivo invidiosi lagrimato avete. Solo in questo m’è benigna la fortuna, e in questo la ringrazio, che sì incerta sepoltura mi donerà, che né vivo né morto mai a’ vostri occhi mi ripresenterò: per che se mi odiate, come le vostre operazioni hanno mostrato, sanza consolazione in dubbio viverete della mia vita; se mi amate, come figliuolo da’ parenti dee essere amato, la fortuna, rapportatrice de’ mali, morto mi vi paleserà sanza indugio, e allora potrete conoscere voi debita pena portare del commesso male. Ma la mia oppinione sola questa consolazione ne porterà con l’anima al leggero legnetto d’Acheronte, pensando che la vostra vecchiezza in dolore si consumerà, la quale non consentì che io lieti usassi i miei giovani anni. O Nettunno, perché tanto t’affanni per avere la mia anima? Cuopri la trista nave se possibile è, e me solo in te ne porta. Finisci il tuo disio e le mie pene a un’ora: non nuoccia il mio infortunio agl’innocenti compagni -. E poi ch’egli aveva per lungo spazio così detto, e egli con più pietosa voce alzava il viso mirando il turbato cielo, e diceva: O sommo Giove, venga la tua luce alla sconsolata