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16 FILOCOLO

là quasi morti sopra la coperta della nave prostrati giaceano vinti; e quasi ogni speranza di salute, per lo dire de’ padroni e per le manifeste cose, era perduta. Né ancora la notte mezze le sue dimoranze avea compiute, né il tempo facea sembianti di riposarsi, ma ciascuna ora più minaccevole proffereva maggiori danni con le sue opere: onde niuno conforto né a Filocolo né ad alcuno che vi fosse era rimaso, se non aspettare la misericordia degl’iddii.

Multiplicava ciascuna ora alla sconsolata nave più pericolo, e ancora che il romore e del mare e de’ venti e de’ tuoni e dell’acque fosse grandissimo, ancora il faceano molto maggiore le dolenti voci de’ marinari, le quali alcune in ramarichii, altre in prieghi agl’iddii che gli dovessero atare dolorosissime delle loro bocche procedeano, conoscendo il pericolo in che erano. Le quali cose Filocolo per lungo spazio avendo vedute, e a quelle e conforto e aiuto co’ suoi compagni avea porto quanto potuto avea, vedendo la loro salute ognora più fuggire, con gli altri insieme quasi disperato piangendo s’incominciò a dolere, dicendo così: O fortuna, sazia di me omai la tua iniqua volontà. Assai ti sono stato trastullo, assai hai di me riso, ora in alto e ora in basso stato. Non penare più di recarmi a quell’ultimo male che continuamente hai disiderato: fallo tosto. Non m’indugiare più la morte, poi che tu la mi disideri: ma se esser puote, io solo la morte riceva, acciò che costoro, i quali per me ingiustamente i tuoi assalti ricevono, non sofferiscano sanza peccato pena. I tuoi innumerabili pericoli tutti, fuori che questo, m’hai fatti provare, e in questo, il quale ancora non avea provato, ogni tua noia si contiene: sia adunque questo, sì