Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/196

altra. Ella avea il suo viso e ’l dilicato petto tutto bagnato, e simile quello di Filocolo, sopra ’l quale gli occhi, che non ardivano di riguardare in parte dove riguardati fossero, tenea. Essa tal volta, sentendo per li legami aspra doglia, alzava gli occhi, rimirando nel viso Filocolo, per vedere se a lui, come a lei, doleva, disiderando d’avere più di lui che di sé compassione, e vedendolo solamente sanza lagrime turbato, si maravigliava, e non meno le piacea vederlo, ben che in mortale pericolo si vedesse, che piaciuto le fosse qualora più lieti mai si videro. Ma pensando che brieve tale diletto convenia essere per la sopravegnente morte, mossa da compassione debita, così fra sé cominciò a dire:

"O nimica fortuna, qual peccato a sì vile fine mi conduce, avendomi in vita tenuta con più miserie ch’altra femina, io nol conosco. Io misera, composta da Cloto, fatale dea, nel ventre della mia madre fui cagione del crudel tagliamento fatto del mio padre, e per consequente, nella mia venuta nel tristo mondo, cacciai di vita la dolente madre. Impossibile mi fu di conoscere i miei genitori: e nata serva, mai la mia libertà non fu ridomandata. Ma gl’iniqui fati, apparecchiati di nuocermi, m’apparecchiavano peggio. Io, formata bella dalla natura, fui a me per la mia bellezza cagione d’etterni danni, dove l’altre ne sogliono graziosi meriti seguitare. Se io fossi di turpissima forma stata, lo indissolubile amore, tra me e Florio generato per iguale bellezza, ancora saria ad entrare ne’ nostri petti: e così io non sarei stata dal suo padre odiata e condannata alle prime fiamme. Io non sarei stata comperata prima da’ mercatanti e poi dall’amiraglio, ma ancora mi sarei