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dell’animo non menomi, niuna sua felicità gli leva della memoria. Egli, vedendosi solo e sanza speranza d’alcuno aiuto, le forze de’ suoi regni fra sé ripete, e loro, per adietro poco amate, ora avria molto care. Egli si duole degli abandonati compagni, nescii di tale infortunio, da’ quali soccorso spererebbe, se credesse che ’l sapessero. Egli, pensando alla vile morte che davanti si vede, appena può le lagrime ritenere. Ma sforzando col senno la pietosa natura, quelle dentro ritiene, e dopo alquanto pensiero, con gli occhi a se medesimo volti, così fra sé cominciò a dire: O inoppinato caso! O nimica fortuna! Ora l’ultimo fine delle tue ire sopra me sazierai. Ora i lunghi tuoi affanni finirai. Tu per molti strabocchevoli pericoli m’hai recato a sì vile fine, non sostenendo più volte, quando il morire m’era a grado, che vita mi fallisse. Oh, quante volte sarei io potuto morire con minor doglia che ora non morrò, e più laudevolmente! Se tu, o iniquissima dea, avessi sostenuto che io, la prima volta ch’io da costei mi partii, fossi nelle sue braccia morto, com’io cercava, sentendo io per la mia partita intollerabile dolore, gl’iddii infernali avriano presa lieta la mia anima! O almeno m’avesse la ingiusta lancia del siniscalco passato il cuore, quando con lui, mai più non usato all’armi, combattei! O mi fosse stato licito l’uccidermi, quando costei tanto piansi, credendola morta! Almeno qualunque di queste morti presa avessi, nel cospetto della mia madre sarei morto, e ella col mio padre insieme il pietoso uficio avrebbero adoperato, guardando poi le mie ceneri con pietoso onore, le quali mai non rivedrà, se Eolo con le sue forze