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pieni. Tu, o iniqua, non sai che fede si sia. Tu puoi i pietosi cuori rivolgere in crudeli. Che più dirò di te, se non che puoi la fama per la infamia far lasciare e gli etterni regni per li terreni abandonare? Chi avria mai potuto, o guastatrice d’ogni virtù, credere che pascendoti ampiamente nel petto di Sadoc, la sua fierità in vilissima lenonia si mutasse per te? Forti cose paiono a pensare le tue operazioni!

Viene il nominato giorno, Filocolo sollecito torna a Sadoc. Niuno amico sa la sua andata: e dovendo la vegnente mattina Filocolo nascondersi ne’ fiori quella notte si dorme con Sadoc, della quale la maggior parte consuma in divoti prieghi. Niuno iddio rimane in cielo, a cui le sue voci non si muovano. A tutti promette graziosi incensi se a questo punto l’aiutano, e Marte e Venere più che gli altri sono pregati: e ultimamente gl’iddii degli ombrosi regni di Dite da lui sono tentati divotamente d’umiliare, acciò che a’ suoi disii non si oppongano. Ma poi che ella, al suo parere lunghissima, trapassa, e appressasi il giorno, essi due soli si levano, e trovata la cesta, Filocolo vi si mette dentro, raccolto in quella guisa che egli può il meglio, e quivi entro Sadoc maestrevolemente molto il cuopre di fiori e di rose, ammaestrandolo che cheto si tenga. E posti di fiori sopra lui grandissima quantità, così acconcio, con l’altre ceste davanti al signore già venuto nel prato, dove similemente quasi tutto il popolo della città era raccolto per tal festa vedere, le presenta, alla guardia di quelle continuo dimorando.

O amore, nemico de’ paurosi, quanta è maravigliosa la tua potenza, e quanto furono le tue fiamme ferventi