Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/153

io non vegga -. E in questa vita stette infino a tanto che Febo in quello animale, che la figliuola di Agenor trasportò de’ suoi regni, se ne venne a dimorare, e quivi quasi nella fine congiunto con Citerea, rinnovellato il tempo, cominciò gli amorosi animi a riscaldare e a raccendere i fuochi divenuti tiepidi nel freddo e spiacevole tempo di verno: e massimamente quello di Filocolo, il quale sì nel suo disio divenne fervente, che appena raffrenare si potea di pur non mettersi a volere il suo proponimento adempiere sanza guardare luogo o tempo. Ma ciò non sostennero gl’iddii, anzi con forte animo il fecero sostenere aspettando.

Venuto adunque già Titan ad abitare con Castore, un giorno, essendo il tempo chiaro e bello, Filocolo si mosse per andare verso la torre: alla quale essendo ancora assai lontano, verso quella rimirando, vide ad una finestra una giovane, alla quale nel viso i raggi del sole riflessi dal percosso cristallo davano mirabile luce; per che egli imaginò che la sua Biancifiore fosse, dicendo fra sé impossibile cosa essere che il viso d’alcun’altra giovane sì lucente fosse o essere potesse. Per che tanto disio gli crebbe di vederla più da presso e d’adempiere ciò che proposto aveva, che, abandonate insieme le redine del cavallo con quelle della sua volontà, disse: Certo, se io dovessi morire, poi che io non posso te avere, o Biancifiore, e’ converrà che io il luogo ove tu dimori abbracci per tuo amore -. E in questo proponimento col cavallo correndo infino al piè della torre se n’andò: dove disceso con le braccia aperte s’ingegnava d’abbracciare le