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si dimenticano!". "Dunque la pur lascerò, tornando dond’io venni?". "Mai sì che tu la lascerai, se tu disideri di vivere". "Di vivere disidero". "Adunque lasciala". "E che varrà la mia vita?". "Quello che vale quella degli uomini che si pongono in cuore di non amare una cosa che a pericolo li conduca". "Certo, poi che io infino a qui sono venuto, io voglio pur tentare di riaverla". "E non te ne avverrà forse bene". "E qual male me ne potrà avvenire?". "L’essere con vergogna morto". "Chi mi ucciderà, faccendomi io conoscere?". "Quegli che subitamente, sanza domandarti chi tu se’, ti ferirà". "E’ non si uccidono coloro che amistà cercano: ucciderammi il castellano per che io voglia essere suo amico?". "Mai no; ma quando tu gli scoprirai quello per che tu gli se’ divenuto amico, egli non te ne servirà, per paura non forse il risappia il signore, e privilo d’avere e di vita: anzi a lui ti paleserà per levartisi da dosso. Non sai tu che negli arabi niuna fede si truova? E per questo il signore ti farà uccidere o ti scaccerà del suo reame con vergogna". "E’ non avverrà così, che io vincerò la sua nequizia con molti doni". "Or ecco che tu la pur racquisti: che avrai tu racquistato?": "Avrò racquistato colei cui io amo e che me ama sopra tutte le cose". "Tu t’inganni, se tu pensi che colei ora di te si ricordi, essendo sanza vederti tanto tempo dimorata. Nulla femina è che sì lungamente in amare perseveri, se l’occhio o il tatto spesso in lei non raccende amore". "E come mi potrebbe ella mai dimenticare, essendoci noi tanto per adietro amati?". "Per un altro amadore! Credi tu che i mercatanti sanza alcun bacio o forse sanza pigliarsi la sua virginità, che n’ebbero tanto spazio, la lasciassero da loro partire? E se questi forse non savi da