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LIBRO QUARTO 11

voci a pregare gl’iddii del cielo e della terra e qualunque altri che i miei dolori terminassero, e infinite volte domandai e chiamai la morte, la quale impossibile mi fu di potere avere. Ma pure pietà del mio dolore vinse gl’iddii, li quali chiamando, come io ho detto che faceva, sedendo in questo luogo, mi sentii sopra subitamente venire un sudore e tutto occuparmi, e, dopo questo, ciò che quello toccava in quello medesimo convertiva, e già volendomi con le mani toccare e asciugare quello, né la cosa disiderata toccava, né la mano sentiva l’usato uficio adoperare, ma mi sentiva nel muovere de’ membri e nel toccarsi insieme né più né meno come l’onde cacciate l’una dal vento e l’altra dalla terra insieme urtarsi: per che io incontanente me conobbi in questi liquori trasmutato, e mi sentii occupare questo luogo, il quale io poi con la gravezza di me medesimo ho più profondo occupato. E così trasmutato, solo il conoscimento antico e il parlare dagl’iddii mi fu lasciato. Né mai mancarono lagrime a’ dolenti occhi, i quali nel mezzo di questa posti, da essi, come da due naturali vene, surge ciò che questa fontana tiene fresca, come voi vedete. E quella verdura sottile, che in alcuna parte cuopre le chiare onde, fu il velo della bella giovane col quale io coperto m’era quel giorno che con tanto effetto la morte disiderava, acciò che sotto la sua ombra, pensando di cui era stato, mi fosse più dolce il morire: e, come vedete, ancora mi cuopre, e emmi caro. Ora hai per le mie parole potuto tutto il mio stato comprendere, il quale io quanto più brievemente ho potuto t’ho dichiarato: non ti sia dunque grave manifestarmi a cui io mi sia manifestato -.

Ascoltando Filocolo