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alla città. Alla quale pervenuti, Filocolo, partendosi da lei, così le disse: Nobile Fiammetta, se gl’iddii mai mi concedessero ch’io fossi mio com’io sono d’altrui, sanza dubbio vostro incontanente sarei; ma per che mio non sono, ad altrui donare non mi posso: non per tanto quanto il misero cuore puote ricevere fuoco strano, di tanto per lo vostro valore si sente acceso, e sentirà sempre, ognora con più effetto disiderando di mai non mettere in oblio il vostro valore -. Assai fu Filocolo da lei ringraziato nel suo partire, aggiungendo che gl’iddii tosto in graziosa pace ponessero i suoi disii.

Tornato così Filocolo al suo ostiere, quella notte con molti pensieri passò, fra sé l’udite quistioni ripetendo, delle quali assai a’ suoi dolori facevano, e tutto per la bellezza della piacevole Fiammetta racceso, con più pena sostenea l’essere a Biancifiore lontano. Egli poi si ricordava delle passate feste avute con lei in quelli tempi, e in molti altri, e fra sé molte fiate annoverava i giorni, i mesi e gli anni, dicendo: Tanto tempo è passato che io con lei non fui o non la vidi -; e con gravissimi sospiri notava quelle ore nelle quali più graziosamente con lei li ricordava essere stato. Ma perché il tempo che si perdea, che più che mai gli gravava, passasse con meno malinconia, egli andando per li vicini paesi di Partenope si dilettava di vedere l’antichità di Baia, e il Mirteo mare, e ’l monte Mesano, e massimamente quel luogo donde Enea, menato dalla Sibilla, andò a vedere le infernali ombre. Egli cercò Piscina Mirabile, e lo ’mperial bagno di Tritoli, e quanti altri le vicine parti ne tengono. Egli volle ancora