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sua, il quale dopo picciolo tempo onorevolemente finì, e tornò alla sua terra e alla casa, dove dalla donna fu graziosamente ricevuto. Dimorato adunque alcun giorno dopo la sua tornata, egli fece apparecchiare un grandissimo convito, al quale egli invitò il marito della donna amata da lui, e i fratelli di lei e molti altri. E essendo gl’invitati per sedere alla tavola, la donna, come piacere fu del cavaliere, venne vestita di quelli vestimenti i quali alla sepoltura avea portati, e ornata di quella corona, e anella e altri preziosi paramenti; e, per comandamento del cavaliere, sanza parlare a lato al suo marito mangiò quella mattina, e il cavaliere a lato al marito. Era questa donna dal marito sovente riguardata, e i drappi e gli ornamenti, e fra sé gli parea questa conoscere essere sua donna, e quelli essere i vestimenti co’ quali sepellita l’avea, ma però che morta gliele parea avere messa nella sepoltura, né credea che risuscitata fosse, non ardiva a far motto, dubitando ancora non forse fosse un’altra alla sua donna simigliante, estimando che più agevole fosse a trovare e persona e drappi e ornamenti simiglianti ad altri, che risuscitare un corpo morto; ma non per tanto sovente rivolto al cavaliere domandava chi questa donna fosse. A cui il cavaliere rispondea: "Domandatene lei chi ella è, che io non lo so dire, di sì piacevole luogo l’ho menata". Allora il marito dimandava la donna chi ella fosse. A cui ella rispondea: "Io sono stata menata da codesto cavaliere, da quella vita graziosa che da tutti è disiata, per non conosciuta via in questo luogo". Non mancava l’ammirazione del marito per queste parole, ma cresceva: e così infino ch’ebbero mangiato dimorarono. Allora