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il quale in cerchio dopo lui sedea, e così disse: Altissima reina, io mi ricordo che già fu nella nostra città una bella e nobile donna rimasa di valoroso marito vedova, la quale per le sue mirabili bellezze era da molti nobili giovani amata, e, oltre a molti, due gentili e valorosi cavalieri, ciascuno quanto potea l’amava. Ma per accidente avvenne che ingiusta accusa di costei fu posta da’ suoi parenti nel cospetto del nostro signore, e, appresso, per iniqui testimoni provata: per le quali inique prove ella meritò d’essere al fuoco dannata. Ma però che la coscienza del dannatore era perplessa, però che le inique prove quasi conoscere gli parea, volendo agl’iddii e a’ fortunosi casi la vita di quella commettere, cotale condizione aggiunse alla data sentenza: che poi che la donna fosse al fuoco menata, se alcuno cavaliere si trovasse il quale per la salute di lei combattere volesse contro al primo che a quella dopo lui s’opponesse, quello a cui vittoria ne seguisse, ciò che egli difendea se ne facesse. Udita la condizione da’ due amanti, e per ventura dall’uno prima che dall’altro, quelli che prima l’udì prese l’armi subitamente, e salito a cavallo venne al campo, contradicendo a chi contravenire gli volesse la morte della donna. L’altro che più tardi sentito avea questo, udendo che già era al campo colui per la difesa di lei, né altri più v’avea luogo ad andare per tale impresa, non sappiendo che si fare, si doleva imaginando che l’amore della donna per sua tardezza avea perduto, e l’altro giustamente l’avea guadagnato. E così dolendosi, gli venne pensato che se prima che alcuno altro al campo andasse armato, dicendo che la donna dovea morire,