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parole alla dolente Glorizia, che nell’un braccio tenea la picciola fanciulla e nell’altro il capo di lei parlante, rendè l’anima al suo fattore umile e divota.

Cominciossi nella camera un doloroso pianto, e massimamente da Glorizia, la quale, tenendo in braccio la figliuola della morta Giulia, dicea: O sventurata figliuola, inanzi alla tua natività cagione della morte del tuo padre, e nascendo hai la tua madre morta! Oimè! quanta sarebbe l’allegrezza de’ miseri parenti, se in vita t’abbracciassero, come io fo! O figliuola di lagrime e d’angoscia, quanto ha Giove mostrato che la tua natività non gli piacea! Oimè, di che amaro peso sono io ancora sanza umano conoscimento divenuta madre! -. E poi si volgea sopra il freddo corpo di Giulia, il quale tanta pietà porgea a chi morto il riguardava, che per vivere ciascuno ne torcea le luci, e dicea: O cara donna, ove m’hai tu misera con la tua figliuola lasciata? Deh! perchè non m’è elli licito poterti seguire? Già era uscito della mia mente il gravoso dolore della crudele morte di Lelio, ma tu ora morendo m’hai doppia doglia rinnovata. Oimè misera! omai niuno conforto più per me s’aspetta -. Così piangendo questa, e l’altre che con lei nella camera dimoravano pervennero le dolorose voci alle orecchie della reina, la quale, allegra del nato figliuolo, prima si maravigliò, dicendo. - Chi piange invidioso de’ nostri beni? -, poi più efficacemente domandando, volle sapere la cagione di cotal pianto. E fatta chiamare alcuna femina della camera ove le misere piangeano, domandò qual fosse la cagione del loro pianto. Quella rispose: Madonna, quando Febo lasciò