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altre che sanza bisogno non li seguissero. E già innumerabile quantità di saette e di tremanti dardi erano sopra i romani giovani discese, gittate dagli archi di Partia dalle arabe braccia, quando Lelio, nell’animo acceso di maravigliosa virtù, mosso il potente cavallo, dirizzò il chiaro ferro della sua lancia verso un grandissimo cavaliere, il quale per aspetto parea guidatore e maestro di tutti gli altri, al quale niuna arme fu difesa, ma morto cadde del gran destriere. Questi portò prima novelle della iniqua operazione commessa da Pluto a’ fiumi di Stige; questi prima bagnò del suo sangue il mal cercato piano e li romani ferri. Sesto, che appresso Lelio correndo cavalcava, ferendone un altro, diede compagnia alla misera anima. E i valorosi giovani seguendo i loro capitani, niuno ve n’ebbe che peggiore principio facesse di Lelio, ma tutti valorosamente combattendo, abbattuti i loro scontri, cavalcarono avanti. E già aveano la maggior parte di loro, per difetto delle rotte lance, tratte fuori le forbite spade, le quali percosse da’ chiari raggi del sole, riflettendo minacciavano i sopravegnenti nimici. Niuno risparmiava la volonterosa forza, ma tutti sanza alcuna paura combatteano con la vile moltitudine. Lelio e Sesto, i quali avanti procedeano, combatteano virilmente con due grandissimi barbari, i quali forti e resistenti trovarono. E mentre l’aspra pugna durava, la moltitudine della iniqua gente abondante premeva tanto i romani, che quasi costretti da vera forza oltre al loro volere rinculavano. Lelio, il quale avea già abbattuto il suo avversario, rivolto verso i suoi, li vide alquanto tirarsi indietro: allora volto la testa del suo