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cominciò a dire: Ora manifestamente possiamo noi ben vedere l’ira degl’iddii quanto ella verso noi adopera, e quanto i fortunosi fati ci si sono incontro rivolti! Oimè, che Marte, lagrimando, non de’ preteriti danni ma de’ futuri mostra d’aver compassione! Egli e gli altri iddii rifiutano i nostri sacrificii, sì come di non degni sacrificatori: e ciò apertamente si vede, chè già il toro ferito per mitigar la loro ira è fuggito dinanzi da’ loro altari delle nostre mani, e va dello innocente sangue bagnando il nostro terreno, mostrandone manifesti segni della nostra fuga, la quale infino agli ultimi termini della nostra potenza mostra che si debba con crudele uccisione distendere. Ma, o sommi iddii, se i miseri meritano d’essere da voi in alcuno atto essauditi, non ischifate le mie piangenti voci, però che, come voi sapete, io non sono quello Dionisio, il quale più volte i vostri templi e le vostre imagini privò di corone e d’altri ornamenti degni a’ vostri altari. Io già mai, o Giove, non ti spogliai come costui fece, dicendo che la risplendente roba fosse di state grave e di verno fredda, rivestendoti di comuni drappi, utili all’uno tempo e all’altro. Nè a te, o figliuolo d’Apollo, feci mai con tagliente ferro levare la cara barba; nè a te, o santa Giunone, scopersi il santo tempio, come Quinto Fulvio fece, per ricoprirne alcuno altro: per le quali cose, sì come sacrilego, io e ’l mio popolo meritiamo giusta distruzione, ma sempre voi e’ vostri templi furono da noi onorati. Dunque non consentite che la nostra potenza, da voi a’ nostri antecessori