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del nuovo giorno, fummo da innumerabile moltitudine di nemici aspramente assaliti, e quivi difendendoci virilmente, vidi io gran parte de’ miei compagni bagnare la terra del loro sangue, e sanza niuna misericordia essere dagli avversarii uccisi. Onde non potendo noi più sostenere il crudele assalto, con alquanti diedi le spalle, fuggendo verso il nostro palagio; ma quivi trovata più aspra battaglia, quasi furiosi, sanza alcuna speranza di salute, io e’ miei compagni tra gli aguti ferri de’ nemici ci gittammo. Quivi io, ferito in molte parti, rientrai nelle mie case, nelle quali alquanti de’ miei compagni vinti vilmente si fuggirono; e saliti nel superiore pavimento, vedemmo tutta la città essere d’ardenti fiamme e di noiosi fummi ripiena, la quale piangendo riguardavamo. Allora fummo assaliti di nuovo accidente, però che rotte le porti dell’antico palagio, salì uno grandissimo uomo romano con molti seguaci, il quale, sì come il fiero lupo le timide pecore sanza difesa strangola, così costui andava uccidendo qualunque davanti gli si parava. A lui vidi io uccidere il vecchio padre e due miei figliuoli, e altri molti. Sopra il quale volendo io prendere debita vendetta, ricevetti infiniti colpi della sua spada; ma poi la vecchia madre e altre femine con lei, mettendo le loro persone per la mia vita tra la sua spada e ’l mio corpo, fortunosamente mi trassero delle sue mani. E uscito fuori della non già città, veggendo che per me più niuno soccorso vi si potea porgere, miserabilemente me verso queste parti mi dirizzai, e qui nel vostro conspetto mi sono fuggito. E dicovi che il vostro regno è sanza dubbio assalito da gente tanto acerba,