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che la mia libertà è stata venduta a costoro infiniti tesori? Ahi misera vita, maladetta sie tu, che sì lungamente in tante tribulazioni mi se’ durata! O dolcissimo Florio, cagione del mio dolore, gl’iddii volessero che io non ti avessi mai veduto, poichè per amarti tante tribulazioni e tante avversità sostener mi conviene. Ma certo se io mai riveder ti credessi, ancora mi sarebbe lieve il sostenerle. Oimè, or che colpa n’ho io se tu m’ami? Io mi reputai già grandissimo dono dagl’iddii l’avere avuto da te soccorso, quando per te credetti morire nelle cocenti fiamme, ma certo io ora avrei molto più caro l’essere stata morta. Io non so che mi fare. Desidero di morire, e intanto mi conosco miserissima, in quanto veggio dalla morte rifiutarmi. Ora facciano gl’iddii di me ciò che piace loro: niuno uomo fu mai amato da me se non Florio, e Florio amo e lui amerò sempre. Nulla cosa mi duole tanto quanto il perduto tempo, nel quale già potemmo i desiderati diletti prendere e non gli prendemmo, ma quello ozioso lasciammo trascorrere, pensando che mai fallire non ci dovesse: ora conosco che chi tempo ha, e quello attende, quello si perde. O misero Fileno, in qualunque parte tu vagabondo dimori rallegrati, che io, cagione del tuo esilio ti sono fatta compagna con più misera sorte. A te è lecito di tornare, ma a me è negato. Tu ancora la tua libertà possiedi, ma la mia è venduta. Gl’iddii e la fortuna ora mi puniscono de’ mali che tu per me sostieni: ma certo a torto ricevo per quelli ingiuria, che come essi sanno mai non ti mostrai lieto sembiante se non costretta dalla madre iniquissima di colui di cui io sono. Oimè, quanto m’è la fortuna contraria! Ma