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su per lo Po con le dorate arene se ne venne alla città posta per adietro da Manto ne’ solinghi paduli. Ma quivi sentendosi più vicino a quello che egli più fuggiva, dimorò poco, e salito su per li colli del monte Appennino, e di quelli declinando, scese al piano, pigliando il cammino verso le montagne, fra le quali il Mugnone rubesto discende. E quivi pervenuto, vide l’antico monte onde Dardano e Siculo primieramente da Italo, loro fratello, si dipartirono pellegrinando; e poco avanti da sè vide le ceneri rimase d’Attila flagello dopo lo scelerato scempio fatto de’ pochi nobili cittadini della città edificata sopra le reliquie del valoroso consolo Fiorino, quivi dagli agguati di Catellino miserabilmente ucciso. Alle quali avuta compassione, si partì, e sanza tenere diritto cammino errando pervenne a Chiusi, ove già Porsenna, secondo che gli fu detto, avea il suo regno con forze costretto ad ubidirsi. Nè troppo lungamente andò avanti ch’egli vide il cavato monte d’Aventino, nel quale Cacco nascose le ’mbolate vacche ad Ercule, strascinate nelle cave di quello per la coda. Ma dopo lungo affanno pervenne nella eccellentissima città di Roma, ove egli d’ammirazione più volte ripieno fu, veggendo le magnifiche cose, inestimabili ad ogni alto intelletto sanza vederle: e in quella vide il Tevero, a cui gl’iddii concederono innumerabili grazie. Egli vide l’antiche mura d’Alba, e ciò che era notabile nel paese. Ma quivi non fermandosi, volgendo i suoi passi al mezzo giorno, si lasciò dietro le grandissime Alpi e i monti i quali aspettavano l’oscurissima distruzione del nobile sangue d’Aquilone, e pervenne a Gaieta, etterna memoria della cara balia di Enea. E di quella pervenne