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a me sicuramente: io sono colei sanza il cui aiuto ogni tua fatica si perderebbe -. Conobbe l’antica vecchia la voce della divina donna, e a quella con lento passo andando, con non poca fatica per gli inruginiti serramenti aperse la porta, la quale nel suo aprire fece un sì grandissimo strido, che di leggiero poria essere stato sentito infino all’ultime pendici del monte. E fatta la dea passar dentro, con non minore romore riserrò quelle, difendendo appena i bianchi vestimenti della dea dalle agute sanne de’ bramosi cani, a’ quali per magrezza ogni osso si saria potuto contare: caccia quelli con roca voce e con un gran bastone col quale sostenea i vecchi membri. Era quella casa vecchissima e affumicata, nè era in quella alcuna parte ove Aragne non avesse copiosamente le sue tele composte; e in essa s’udiva una ruina tempestosa, come se i vicini monti, urtandosi insieme, giugnessero le loro sommità, le quali per l’urtare pestilenzioso diroccati cadessero giuso al piano. Niuna cosa atta ad alcuno diletto vi si vedea: le mura erano grommose di fastidiosa muffa, e quasi parea che sudando lagrimassero; nè in quella casa mai altro che verno non si sentiva, sanza alcuna fiamma da riconfortare il forte tempo: ben v’era in uno de’ canti un poco di cenere, nella quale riluceano due stizzi già spenti, de’ quali la maggior parte una gattuccia magra covando quella occupava. E la vecchia abitatrice di cotal luogo era magrissima e vizza, nel viso scolorita; i suoi occhi erano biechi e rossi, continuamente lagrimando; di molti drappi vestita, e tutti neri, ne’ quali raviluppata, in terra sedea, vicina al tristo fuoco, tutta tremando, e al suo lato avea