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le maladette cure il suo petto, più volte quella notte eccitato, disse: O notte, come sono lunghe le tue dimoranze più che essere non sogliono! O il sole è contra ’l suo corso ritornato, poi che egli si celò in Capricorno, allora che tu la maggior parte del tempo nel nostro emisperio possiedi, o Biancifiore credo che con le sue orazioni priega gl’iddii che rallungare ti facciano, quasi indovina al suo futuro danno. Ma folle è quello iddio che per lei di niente s’inframette, chè a lui non fia mai per lei acceso fuoco sopra altare nè visitato tempio. Di se medesima gli può ben promettere sacrificio, però che quando tu ti partirai del nostro emisperio, io la farò ardere nelle cocenti fiamme, nè di ciò alcuno pregato iddio la potrà aiutare, nè trarla delle mie mani: adunque partiti, e lasciami tosto vedere l’apparecchiato fine al mio disire. E tu, o dolcissimo Apollo, il quale disideroso suoli sì prestamente tornare nelle braccia della rosseggiante Aurora, che fai? Perchè dimori tanto? Vienne, non dubitar di venire sopra l’orizonte, per che io deggia fare per la tua venuta ardere la non colpevole giovane. Questo non è l’acerbissimo peccato del comune figliuolo de’ due fratelli mangiato da essi, porto dalla crudel madre, per lo quale tu tirasti i carri dello splendore indietro, e non volesti dare quel giorno luce alla terra, perchè sopra sè sì fatta crudeltà avea sostenuta. Tu desti più volte luce a Licaon, operatore di maggior crudeltà che questa non è; e sofferisti che Progne, dopo l’ucciso figliuolo, dandole tu lume, si fuggisse dalla giusta crudeltà di Tireo; nè si celò la tua luce nella morte de’ due tebani fratelli. Adunque, poi che a Licaon, a Progne e ad Etiocle