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non la baciò mai, nè fece alcun altro amoroso atto, che cento volte il dì fra sè nol ripetesse, dicendo: "Deh, ora mi fosse licito pur di vederla solamente!"; e fra sè sovente piangea il tempo il quale indarno gli parea avere perduto stando con Biancifiore sanza baciarla e abbracciarla, dicendo che se mai più con lei per tal modo si ritrovasse, come già era trovato, mai più per ozio o per vergogna non perderebbe che egli non spendesse il tempo in amorosi baci. Egli si portava saviamente molto, prendendo col duca e con Ascalion e con altri molti varii diletti, quali nel iemale tempo prendere si possono, sperando sempre che il re di giorno in giorno gli dovesse mandar Biancifiore. E con questi diletti mescolati di speranza, sempre aspettando, assai leggiermente si passò tutto quel verno sanza troppa noia, però che alquanto l’amoroso caldo per lo spiacevole tempo era nel cuore rattiepidato e ristretto. Ma poi che Febo si venne appressando al Monton frisseo, e la terra incominciò a spogliarsi le triste vestige del verno, e a rivestirsi di verdi e fresche erbette e di varie maniere di fiori, incominciarono a ritornare l’usate forze nell’amorose fiamme, e cominciarono a cuocere più che usate non erano per adietro nella mente allo innamorato Florio. Egli per lo nuovo tempo trovandosi lontano a Biancifiore, incominciò a provare nuovo dolore da lui ancora non sentito in alcun tempo, che egli dicea così: "Ora pur festeggia tutta Marmorina, e la mia Biancifiore, stando all’alte finestre della nostra casa, vede i freschi giovani sopra i correnti cavalli, adorni di bellissimi vestimenti, passarsi davanti, e ciascuno per la bellezza di lei si