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terra appressavano tanto più crescea, n’andarono infino nella città, della quale trovarono tutte le rughe ornate di ricchissimi drappi, e piena di festante popolo. Nè niuna casa v’era sanza canto e allegrezza: ogni uomo in qualunque età facea festa, e similemente le donne cantando versi d’amore e di gioia. Pervenne adunque Florio con costoro al gran palagio del duca, e quivi con tutto quello onore che pensare o fare si potesse a qualunque iddio, se alcuno in terra ne discendesse, fu Florio da’ più nobili della terra ricevuto. E, scavalcati, tutti salirono alla gran sala, e quivi per picciolo spazio riposatisi presero l’acqua e andarono a mangiare. E poi per amore di Florio, molti giorni solennemente per la città festeggiarono.

Biancifiore così rimasa, alquanto da Glorizia riconfortata, ogni giorno andava molte fiate sopra l’alta casa, in parte onde vedeva Montoro apertamente, e quello riguardando dopo molti sospiri avea alcun diletto, imaginando e dicendo fra se medesima: "Là è il mio disio e il mio bene". E tal volta avvenia che stando ella sentiva alcun soave e picciolo venticello venire da quella parte e ferirla per mezzo della fronte, il quale ella con aperte braccia ricevea nel suo petto, dicendo: "Questo venticello toccò il mio Florio, com’egli fa ora me, avanti che egli giungesse qui"; e poi, quindi partendosi, andava in tutti quelli luoghi della casa ov’ella si ricordava d’avere già veduto Florio, e tutti gli baciava, e alcuni ne bagnava alcune volte d’amare lagrime. Questi erano i templi degl’iddii e gli altari, i quali ella più visitava. E niuna persona venia da Montoro, che ella o tacitamente o in palese non dimandasse del suo Florio. Ella mai non mangiava che Florio da lei