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quello uficio essercitassi in me: e certo io l’avrei per me volontieri fatto, ma dubitando d’offendere quella piccola particella d’amore che tu mi porti, mi ritenni, tenendo solamente la mia vita cara per piacere a te. Ma gl’iddii sanno quale ella sarà partendoti tu, però che io non credo che mai giorno nè notte sia, che io non sofferi molti più aspri dolori che il morire non è. Ma forse tu ti vuogli scusare che altro non puoi; ma non bisogna scusa al signore verso il vassallo: tanto pur udi’ io che tu con la tua bocca dicesti d’andare a Montoro! Oimè, or m’avessi tu detto davanti: "Biancifiore, pensa di morire, però che io intendo d’abandonarti", però che tu non dovevi dire sì a fidanza delle vane e false parole di tuo padre, il quale ti promise di mandarmi a te. Certo egli nol farà già mai, però che egli guarda di farti tanto da me star lontano, che io possa essere uscita della tua mente -. Queste e molte altre parole, piangendo e tal volta porgendogli molti amorosi baci, gli diceva Biancifiore, quando Florio non potendo le lagrime ritenere, rompendole il parlare, le disse così:


- Oimè, dolce anima mia, or che è quello che tu di’? Come potrei io mai consentire se non cosa che ti piacesse? Tu ti duoli della menoma parte de’ nostri danni. Principalmente già sai tu che mai per me onorata non fosti, ma sola la tua virtù è stata sempre cagione debita agli onoranti di tale onore farti: la qual virtù per la mia partita non credo che manchi, nè similemente l’onore. E chi sarebbe quelli che contra te potesse incrudelire, o per invidia o per altra cagione? certo nullo; e se pure alcuno ne fosse, io non sarò sì lontano che tu di leggieri non