Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/117

però che meco ove che io fossi andato l’avrei menata; la quale io più volontieri, sanza impedimento d’alcuno, liberamente possederei, che io non farei la grande eredità del reame che m’aspetta. Ma poi che promesso l’ho, io v’andrò, acciò che non paia ch’io voglia tutto ogni cosa fare a mia maniera. Egli m’ha impromesso di mandarlami; se elli non la mi manda, io avrò legittima cagione di venirmene dicendo: "Voi non m’atteneste lo ’mpromesso dono: io non posso più sostenere di stare lontano da lei per ubidire voi". E da quella ora in avanti mai più un tal sì non mi trarrà della bocca, quale egli ha oggi fatto. Se egli me la manda, molto sono più contento d’esser con lei lontano da lui che in sua presenza stare, e più beata vita mi riputerò d’avere". E con questo pensiero si levò e andonne in quella parte ove egli ancora trovò Biancifiore, che tutta di lagrime bagnata ancora miseramente piangea; a cui egli, quasi tutto smarrito guardandola, disse: O dolce anima mia, qual è la cagione del tuo lagrimare? -. La quale prestamente dirizzata in piè, piangendo gli si fece incontro, e disse: Oimè, signor mio, tu m’hai morta: le tue parole sono sola cagione del mio pianto. O malvagio amante, non degno de’ doni della santa dea, alla quale i nostri cuori sono disposti, or come avesti tu cuore di dire tu medesimo sì di dovermi abandonare? Deh, or non pensi tu ove tu m’abandoni? Io, tenera pulcella, sono lasciata da te come la timida pecora tra la fierità de’ bramosi lupi. Manifesta cosa è che ogni onore, il quale io qui ricevea, m’era per lo tuo amore fatto, non perchè io degna ne fossi, sì come a colei che era tua sorella da