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libro primo 5

reamente i loro matrimoniali letti avea violati; e quelli, pregni d’iniquo volere e d’ira mormorando, lasciò focosi, ritornando donde partita s’era. Il vicario di Giunone senza indugio chiamò il giovane dalla santa bocca eletto a’ suoi servigi, il quale allora signoreggiava la terra la quale siede allato alla mescolata acqua del Rodano e di Sorga, e a lui mostrò i larghi partiti promessigli dalla santa dea, se in tale servigio con le sue forze si mettesse, e ultimamente gli promise d’adornare la sua fronte di reale corona del fruttifero paese, se la maledetta pianta del tutto n’estirpasse.

Non fece il valoroso giovane disdetta a sí fatta impresa, ma disideroso di dare a sé e a’ suoi simile scanno, chente i predecessori aveano avuto, si mise con vigorose forze all’ammirabile impresa; e in brieve tempo con la sua forza e co’ promessi aiuti la recò a fine, posando il suo soglio negli addomandati regni, avendo annullati i nemici di Giunone con proterva morte; e quivi nuove progenie generate, stato per alquanto spazio, rendé l’anima a Dio. Quegli che dopo lui rimase successore nel reale trono, lasciò appresso di sé molti figliuoli: tra’ quali uno, nominato Ruberto, nella reale dignità constituito, rimase interamente con l’aiuto di Pallade reggendo ciò che da’ suoi predecessori gli fu lasciato. E avanti che alla reale eccellenzia pervenisse, costui, preso del piacere d’una gentilissima giovane dimorante nelle reali case, generò di lei una bellissima figliuola; e volendo di sé e della giovane donna serbare l’onore, con tacito stile, sotto nome appositivo d’altro padre, teneramente la nutricò, e lei nomò del nome di colei che in sé contenne la redenzione del misero perdimento che addivenne per l’ardito gusto della prima madre. Questa giovane come in tempo crescendo procedeva, cosí di mirabile bellezza s’adornava, patrizzando cosí ancora ne’ costumi come nell’altre cose che facea; e per le sue notabili bellezze e opere virtuose, piú volte fece pensare a molti che non d’uomo ma di Dio figliuola stata fosse. Avvenne che un giorno, la cui prima ora Saturno avea signoreggiata, essendo giá Febo co’ suoi cavalli al sedecimo grado del celestiale Montone pervenuto, e