tua. E la dolcezza della tua lingua farebbe maggiori cose che non fece la cetra del trazio poeta o del tebano Anfione. Per le quali cose l’eccelso imperador di Roma, gastigatore del mondo, ti terrebbe cara compagna; e ancora più: egli è mia opinione che, se possibil fosse che Giunone morisse, niuna piú degna compagna di te si troverebbe al sommo Giove. E tu ti reputi vile? Or che ha la mia madre piú di valore di te, la quale nacque di ricchissimi re d’Oriente? certo niuna cosa: né di tanto, traendone il nome, ch’è chiamata reina. Adunque per lo tuo valore se’ tu da me degnamente amata, sì com’io poco inanzi dissi a mio padre. E cessino gl’iddii che tu in alcuno atto o per alcuna cagione t’avessi offesa o t’offendessi, perciò che nessuna persona m’avrebbe potuto ritenere, che io subitamente non mi fossi con le proprie mani ucciso. Vera cosa è questa, e ben la conosco, che, consentendo io l’andata mia a Montorio, a te dessi gravoso dolore: ma certo e’ non dolse piú a te che a me. Ma che volevi tu che io facessi piú avanti? Volevi tu che io con mio padre avessi sconce parole per quello che ancora si può ammendare? Se a te tanto dispiace la mia andata, comanda che io non vi vada: ed egli potrà assai urtare il capo al muro, che non ci andrò! E se tu consenti che io vi vada, egli m’ha promesso di mandarmiti: la qual cosa se egli non farà, io volgerò tosto i passi indietro, perciò che io so bene che senza te vivere non potrei lungamente. E non pensare che, per allontanarmi da te, egli mi possa mai trarre te della mente: anzi, quanto piú ti sarò col corpo lontano, tanto piú ti starò con l’animo vicino. E certo impossibile sarebbe che io mai ti dimenticassi, ancor che tutto Lete per la bocca mi passasse; però, anima mia, confortati, e lascia il lagrimare, e fa ragione ch’io sia sempre teco, e non pensare che ’l mio amore sia lascivo come fu quello di Giasone e di molti altri, i quali per nuovo piacere senza niuna costanza si piegavano. Veramente io non amerò mai altra che te, né mai altra donna signoreggerá l’anima mia se non Biancofiore». E dicendo queste parole, piangevano amendui teneramente, spesso guardando l’un l’altro nel viso,