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82 | il filocolo |
senza continua sollecitudine non sarò, sempre pensando com’io a vedere ti possa venire in qualche modo. Io allegra sarò s’a te mi manderanno, e se non sarò mandata, io pur ne verrò».
Florio, che malvolentieri a’ piaceri del padre avea consentito, ricevuto il comandamento di doversi partire la seguente mattina, e partito il re da lui, solo pensando si pose a sedere, e tra se medesimo dicea: «Oimè, che ho io fatto? Ah, che ho io consentito alla mia medesima distruzione, per ubbidire il crudel padre! Or come mi potrò io mai partire senza Biancofiore? Deh, or non poteva io almeno dicendo pur di no, aspettare quello ch’egli avesse fatto? Di che aveva io paura? Ucciso non m’avrebbe egli, ché io uccidere non m’avrei lasciato. Niuna peggior cosa mi poteva fare che cacciarmi da sé: la qual cosa ei non avrebbe mai fatta; ma se pur fatta l’avesse, Biancofiore non sarebbe rimasa, perciò che meco la ove che io fossi andato l’avrei menata: la quale io piú volontieri, senza impedimento d’alcuno, liberamente possederei, che non farei la grande ereditá del reame che m’aspetta. Ma poi che promesso l’ho, io v’andrò, acciò che non paia ch’io voglia ogni cosa fare a mio senno. Egli m’ha impromesso di mandarlami; se non la mi manderá, io avrò legittima cagione a venirmene, dicendo: ‛Voi non m’atteneste l’impromesso dono: io sostenere non posso di stare piú lontano da lei per ubbidire voi’. E da quell’ora in avanti mai piú un tal sí mi trarrá dalla bocca, quale egli ha oggi fatto. S’egli me la manderá, molto piú sarò contento d’esser con lei lontano da lui che in sua presenza stare, e piú beata vita mi reputerò d’avere». E con questo pensiero si levò, e andò in quella parte ov’egli trovò Biancofiore, che tutta di lagrime bagnata ancora miseramente piangeva; cui egli, quasi tutto smarrito guardandola, disse:
«Oimè, dolce anima mia, qual è la cagione del tuo lagrimare?». La quale prestamente levatasi in piè, forte piangendo gli si fece incontro, e disse: «Oimè, signor mio, tu m’hai morta: le tue parole sono sola cagione del mio pianto. O malvagio amante, non degno de’ doni della santa dea, alla quale i nostri cuori sono disposti: oh, come avestú core di dir tu