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78 il filocolo

Catone, piú forte negli avversi casi, né con piú egualitá d’animo. Liberalissima la veggiamo. La grazia della sua lingua si potrebbe agguagliare alla dolcissima eloquenza dell’antico Cicerone. A cui mai tante grazie concedettero gl’iddii quante a questa sommamente virtuosa? Adunque senza comparazione è gentile. Non fanno le vili ricchezze, né gli antichi regni, sí come voi forse, essendo in un errore con molti, estimate, gli uomini gentili né degni posseditori de’ grandi oficii: ma solamente quelle virtú che costei tutte in sé racchiude. Deh, ora come mi poteva o potrebbe giá mai Amore di piú nobil cosa far grazia? Questa ha in sé una singolar bellezza, la quale passa quella che Venere teneva, quando ignuda si mostrò nella profonda valle dell’antica selva chiamata Ida a Paris, la quale, ognora che io la veggio, m’accende nel cuore uno ardore virtuoso sí fatto, che, s’io d’un vil ribaldo nato fossi, mi faria subitamente divenir gentile. Niuna volta è che io i suoi lucentissimi occhi riguardi, che da me non fugga ogni vile intendimento, se alcun n’avessi. Adunque, poi che questa a virtuosa vita mi mena, non che è ella gentile, come sopra detto è, ma se fosse la piú vil femina del mondo, si è ella da dovere essere amata da me sopra ogni altra cosa. Ma poi che tanto v’aggrada che io studii, acciò che reputato non mi possa essere in vizio il non obbedirvi, farollo volontieri; ma se mia vergogna vi sembra che costei per le strane scuole mi venga seguendo, levate la cagione acciò che non seguiti l’effetto: non vi mandate me, il quale sono però presto d’andarvi, poi che a voi piace e poi che mi promettete di mandarmi lei. Siano de’ loro amori ripresi la trista Mirra e lo scellerato Tereo e la lussuriosa Semiramis, li quali sconciamente amarono, e me piú non riprendete, se la mia vita v’aggrada». Non rispose piú il re a Florio, però che egli vedeva. largamente che volendo parlare con lui avrebbe di gran lunga perduto, ma lasciandolo solo, si partí da lui, e gli comandò che egli acconciasse il suo arnese, acciò che la seguente mattina s’andasse a Montorio.

Alle parole state tra il re e Florio non era guari lontana