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484 | il filocolo |
né disse piu. Questa subitamente in quella forma e in quel modo in che Asenga, si mutò; ma i fiori furono diversi, ché dove Asenga in bianco fiore con molte frondi, Annavoi in vermiglio con cinque sole, e in mezzo gialla, si trasmutò. E questo fatto, gl’iddii tornarono ne’ loro regni, e l’aere cacciò i suoi nuvoli e rimase chiaro».
Con meraviglia e fuori d’ogni credere ascoltò Filocolo infino a qui la parlante giovane, dicendo poi: «O giusta vendetta, quanto devi essere temuta da ciascuno, che queste cose ascolta! Assai sostenne la divina pietá, ché certo la menoma delle molte parole meritava maggior pena!». E con voce da questa assai diversa seguí queste altre parole: «O superbia, pericolosa pestilenza del tuo oste, maladetta sia tu! Tu, a te iniqua, non sostieni compagno. Tu, non conoscente, se’ de’ meriti guastatrice, invocatrice d’ira e suscitatrice di briga; chi seco ti tiene non sará savio, poi che tu, piú altera che possente, hai vestite le tue armi, e con gli occhi ardenti spaventi il mondo. Tu ti credi con le corna toccare le stelle, e, parlando aspro, col muovere impetuoso, rigidamente operando cacci davanti a te i meno possenti; ma la vendicatrice giustizia di te contenta l’animo de’ sofferenti, cosí dopo pochi passi torna la tua potenza come vela che per troppo vento, l’albero rotto, ravvolta cade. Tu simile a’ robusti cerri, prima ti rompi che tu ti pieghi a’ soffianti venti. Male per loro s’armarono queste misere delle tue armi. Male ancora le tue corna si posero. Giusta vendetta l’ha umiliate come degne». E queste parole dette, si rivolse al carro della luce, e videlo giá il meridiano cerchio aver passato, e declinare cosí il caldo come i raggi, per che a’ compagni tempo di tornare alla cittá disse che gli pareva, ma prima con queste parole parlò dicendo: «O sacro fonte, veramente delle dee luogo e guardatore delle loro vendette, per quella pietá che giusta ira le mosse ti priego, se per te Idalagos può alcun soccorso avere, donaglielo, e provisi alquanto la tua dolcezza ad ammollire l’acerba durezza della bella pietra da lui infino all’estremo dolore amata». Alle cui parole, se possibile fosse