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libro quinto 481

fu il cielo assalito. Li quali cosí corsi dierono pauroso suono, e chiusero il mondo d’oscuri nuvoli, né a niuno vento fu tenuta la via: e crucciati tutti discesero sopra questo luogo, le cui ire temendo la terra tremò forte. Ma essi lasciato il furore, si dice che prima Venere con Cupido in questo luogo entrarono, né trovarono però il malvagio colloquio cessato, anzi quelle ferme in quello, senza paura alcuna del divino giudicio, dimoravano. Qui Venere non salutò, né fu salutata; ma volta ad Alleiram disse: ’Dunque, iniqua giovane, prendi tu gloria d’aver dispiaciuto a noi, e insuperbisci per la tardata vendetta, e minacci di peggio operare? Or non pensi tu che con riposato andamento noi procediamo delle nostre ire alla vendetta, poi il tardato tempo con accrescimento di pena ristoriamo? Tu rea di gravissimo peccato, ora riceverai guiderdone. Tu rifiutatrice de’ nostri dardi, diverrai fredda e impassibile a quelli ricevere: né piú avanti piacerai, né vedrai chi per te offenda altrui, o muova briga, o sé dimentichi, né piú di cotali riderai, né eleggerai, né romperai vasi. E come giá tu niuna compassione avesti verso chi quella meritava, cosí molti, sappiendo i tuoi casi, forse di te compassione avranno: ma niente ti gioverá, ché come altri a te per pietá giá porse prieghi, cosí a te fia tolto di poterne porgere. E sí come io non ti potei a’ miei voleri recare, cosí me a’ tuoi non conducerá né uomo, né dio. E prima le lagrime di colui che giá fu tuo finiranno, e torneragli la perduta allegrezza per piú dolce oggetto che tu non fosti, che tu solamente in isperanza ritorni di ritornare nella perduta forma. E le laude giá dette della tua bellezza in amorosi versi, altro titolo che della tua prenderanno, né mai ti fia possibile il piú nuocergli che nociuto gli abbi: anzi se la mia deitá merita di conoscere alcuna delle future cose, tu, vaga di riavere la sua grazia, di quella patirai difetto, e sí come mi pare, misera conoscerai quanta sia la mia potenza da te con parole orribili dispregiata. Tu dura e immobile a’ miei voleri, in durissimo marmore ti muterai, e questa grotta neila quale tu siedi ti fia eterna casa ’; e piú non disse. Queste parole udendo Alleiram mutò cuore, e sariasi