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libro quinto | 477 |
Ma s’egli avviené, che tra lei e Febo alcuna volta la terra si ponga, noi la veggiamo di sozza rossezza tutta contaminata. Perché, adunque, è bella Giunone similmente ed Apollo, se da un poco d’austro sono turbati, e guaste le loro bellezze per li suoi nuvoli? Diana non dico, perciò che da presumere è che, se stata fosse bella, non avria consentito che Atteone, per averla veduta, fosse diventato cervo, ma che avesse parlato e narrato la sua bellezza agli ignoranti avria consentito. E piú possiamo ancora di lei dire che, perciò che ella conobbe piú la sua rustichezza essere atta alle cacce che ad amare, però quell’oficio si prese. E come di queste diciamo, cosí di Venere possiamo dire, la quale se sí bella come si conta fosse stata, saria sí piaciuta ad Adone, che egli pauroso di perdere per morte sí bella dea, avrebbe i suoi sani consigli seguiti. E similemente possiamo di molte altre dire quello che di noi non avviene. Io, bellissima, continuo bella nella mia forma mi mostro, né cambio viso né figura perch’io cambi stagione; né si patisco eclissí come la luna fa, né mi nocciano i nuvoli d’austro, né li rischiaramenti d’aquilone mi giovano come ad Apollo e a Giunone fanno, anzi, e con quelli e senza questi, continuo bella mi dimoro. Né similemente mai al viso d’alcun riguardante mi nascosi, né mi nasconderei, ma sentendomi com’io mi sento bella, mi diletto da molti essere amata e guardata. Io non comandai, né pregai, né consigliai mai cosa che essa non fosse con sollecitudine messa ad effetto e osservata: dunque, piú tosto io ch’alcuna delle sopradette sono da essere chiamata Dea’. E qui si tacque.
Dappoi che Asenga tacque, Airam, non meno che la prima superba, lodandosi oltre a modo, cosí cominciò a parlare: ‛Seguitando io voi la impotenza degl’iddii e ’l difetto delle loro bellezze a confermare, cosa da non sostenere in sí alto nome senza effetto, piú della loro mancanza vi narrerò. Essi, come voi sapete, delle future cose veridici provveditori si fanno, di quelle porgendo risponso a’ dimandanti, aggiugnendo che le presenti senza mezzo conoscono, e che in memoria ritengono le passate; ma questo non è vero, e però non si dee