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474 | il filocolo |
plicitá meco compresi, che qui Diana, dopo i boscherecci affanni, col suo coro veniva a ricreare, bagnandosi, l’affaticate forze: e tali furono che dissero, ma falso, che Atteone qua dentro guardando, essendoci ella, meritò divenire cervo. Qui ancora le ninfe di questo paese testavano riposarsi, qui le naiadi e le driadi nascondersi; ma la mia stoltizia ora m’è manifesta, ora veggio quanto poco lontano veggono gl’ingannati occhi de’ mondani, li quali con ferma credenza, a diverse imagini faccendo diversi templi, quelle adorano, dicendole piene di deitá. O rustico errore piú tosto che veritá! Elli hanno appo loro gl’iddii e le dee e’ celestiali regni, e vannogli fra le stelle cercando. E che ciò sia vero, rimirinsi i nostri visi, adorni di tanta bellezza, che nullo verso la poria descrivere: ella avria forza di muovere gli uomini a grandissime cose. Quali iddii dunque o quali dee, qual Venere, qual Cupido, qual Diana piú di noi è da esser riverita? Folle è chi crede altra deitá che la nostra. Noi commoveremmo i pacifici regni a battaglie, e ne’ combattenti metteremmo pace a nostra posta: quello che gl’iddii non poterono fare, avendo Elena porta la cagione. Quali folgori, quali tuoni poté mai Giove fulminare, che da temere fossero come la nostra ira? Marte non fa se non secondo che noi commettiamo. Cessi adunque questo luogo da essere riverito, se non per amore di noi: e che ciò sia ragione, io vi mostrerò la mia forza maggiore che quella di Venere essere stata, e udite come.
Quanto io sia di sangue nobilissima non bisogna dire, ch’è manifesto, né alcuno di quelli che iddii si chiamano, con giusta ragione potrebbe mostrare piú la sua origine che la mia antica. Io similemente in dirvi quanto in ricchezze abbondi non mi faticherò, però che è aperto Giunone a quelle non potere dare crescimento discernevole con tutte le sue. La copia de’ parenti è a me grandissima: e oltre a tutte le cose che nel mondo si possono disiderare, sono io bellissima come appare, e nel piú notabile luogo della mia cittá situata è la lieta casa che mi riceve. Davanti la quale niuno cittadino è che sovente non passi; e quelli forestieri, i quali per terra l’oriente e il freddo