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472 | il filocolo |
medesima pena partecipare. Tu rechi agli occhi quelle lacrime le quali piú che altre meritano, e hai potenza di muovere i duri cuori da’ loro proponimenti nefandi, e di scacciare l’ardente ira dal turbato fiele. Tu nemica delle miserie, se’ dell’offese graziosa perdonatrice. Per te la tagliente spada della giustizia sovente in misericordiosa opera volge il suo operare. E chi agl’iddii ci congiungerebbe, da’ quali le nostre operazioni inique ci allontanano, se tu nol facessi? Tu se’ degli assaliti dalla tortura cagione di graziosa speranza, e di consolazione apportatrice. Che piú dirò di te? Tu piena di tanta umanita se’, che aperto si può dire che il cuore, ove tu non regni, piú tosto ferino è che umano. Tu e ’l figliuolo di Citerea sedete ad uno scanno. Egli senza di te faria le sue opere vane. Niuna ingiuria potrebbero gl’iddii porgere sí grave, che molto maggiore a chi dal suo petto ti scaccia non si convenisse. Tu me, che dell’ultimo ponente sono, facesti dell’angosce d’Idalagos partecipe, il quale dipinto e dentro afflitto di molte miserie, non poté questa pietra muovere con la tua forza dal duro proposito, amandola sopra tutte le cose e avendola amata: per che ora degnamente di sé puoi porgere manifesto esempio a’ riguardanti. O amore, per la grazia del quale io li meritati doni posseggo, viva in eterno il tuo valore: il quale, s’io merito nel tuo cospetto alcuna grazia piú che quella ch’io ricevuta posseggo, ti priego che da cosí fatti cuori t’allontani, però che tu, benevolo co’ malevoli, degno luogo avere non puoi. Sia l’acerbita consumatrice de’ cuori che la nutricano, degna di perdere la tua grazia e quella degli uomini».
Sí tosto come Filocolo, dette queste parole, tacque, Idamaria, che interamente l’aveva notate, disse: «O giovane, se gl’iddii te al nominato paese riportino con prospera via, dinne onde t’è manifesto ciò che qui parli in degno dispregio della pietra che tu tocchi? Tu ne fai maravigliare, essendo tu d’occidente e noi paesane, non essendoci quello che a te è manifesto». Alla quale Filocolo parlandò sodisfece, e dimandò se ’l modo della trasformazione di quella fosse a loro noto che glielo dicessero. A cui Alcimenal: «Per udita tutte il sappiamo;