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libro quinto 463

e la corona di Adriana, e Alcide vincitore dell’alte prove fossero locati; e senza mutar nota cantò del Corvo, per la recante acqua mandato da Febo, il quale, per lo soperchio tempo mosso ad aspettare i non maturi fichi, meritò per la bella bugia, egli con l’apportato Serpente e con la Cratera d’oro, essere in cielo dal mandatore locati, e ornati di piú belle stelle. E insieme con questo, raccontò il luogo ove è colei che la palma delibuta porta, e dove il Portatore del Serpente e Eridano e la paurosa Lepre co’ due Cani dimorassero. Cantando poi del nibbio, il quale le interiora del toro fatato, ucciso da Briareo, portò al cielo, ove egli fu da Giove locate e adornato di nove stelle, seguendo appresso di Eridano, di Sagitta, e d’Auriga i luoghi, e dell’australe corona; movendo con piú soave suono, come Arione, cantante sopra il portante Delfino, fuggi il mortal pericolo, e poi pe’ meriti dell’uno e dell’altro meritassero il cielo, e qual parte di esso; e dove il Cavallo non intero, e la Nave che prima solcò il non usato mare dimorassero, dimostrò; e ’l segno, e la gloria di Perseo, e ’l suo luogo, e con la testa del Gorgone, e dell’Idra, crescente per li suoi danni, e il luogo del vaso. E rimembromi che disse ancora del Centauro, e del celestial Lupo, di dietro a’ quali del Pesce i luoghi dimostrò con quelli di Cefeo, e del Triangolo, e del Ceto, e d’Andromeda, e del Pegaseo Cavallo; passando dietro a questi dentro alle regioni degl’iddii con piú sottil canto del suo suono. Queste cose ascoltai io con somma diligenza, e tanto dilettarono la rozza mente, ch’io mi diedi a voler conoscere quelle, e non come arabo, ma seguendo con istudio il dimostrante: per la qual cosa il divenire esperto meritai. E giá abbandonata la pastorale via, del tutto a seguitar Pallade mi disposi, le cui sottili vie ad imaginare, questo bosco mi prestò agevoli introducimenti, per la sua solitudine. Nel quale dimorando, m’avvidi lui essere alcuna stagione dell’anno, e massimamente quando Ariete in sé il Delfico riceve, visitato da donne, le quali piú volte, lente andando, io con lento passo le seguitai, di ciò agli occhi porgendo grazioso diletto continuamente i dardi di Cupido fuggendo, temendo non forse