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libro quinto 459

fretta disiderano per alleviare la loro ardente sete e per riposo: ov’egli andò, e quivi la mansueta greggia di Franconarcos, re del bianco paese, gli fu raccomandata, la quale egli con somma sollecitudine guardò. Aveva il detto re di figliuole copioso novero, di bellezze ornate e di costumi splendide, le quali insieme un giorno, con grandissima caterva di compagne mandate dal loro padre, andarono a porgere odoriferi incensi a un santo tempio dedicato a Minerva, posto in un antico bosco, avvegna che bello d’arbori e d’erbe e di fiori fosse. Esse, poi che il comandamento del padre ebbero ad esecuzione messo, essendo loro del giorno avanzato gran parte, a fare insieme festa per lo dilettevole bosco si dierono. A questo bosco era vicino Eucomos, sopra tutti i pastori ingegnosissimo, con l’accomandata greggia, il quale nuovamente colle proprie mani avendo una sampogna fatta che piú ch’altra dilettevole suono rendeva agli uditori, ignorante della venuta delle figliuole del suo signore, essendo allora il sole piú caldo che in alcun’altra ora del giorno, aveva le sue pecore sotto l’ombra d’un altissimo faggio raccolte, e, diritto appoggiato ad un mirteo bastone, questa sua nuova sampogna con gran piacere di sé sonava, e non di meno alla dolcezza di quella le pecore facevano mirabili giuochi. Questo suono udito dalle vaghe giovani, senza alcuna dimoranza corsero quivi, e poi che per alquanto spazio ebbero ricevuto diletto, e del suono e della veduta delle semplici pecore, una di loro chiamata Gannai, fra l’altre speziosissima, chiamò Eucomos, pregandolo che a loro col suo suono facesse festa, di ciò merito promettendogli. Egli il fece. Piacque a loro, e tornarono piú volte a udirlo. Eucomos assottiglia il suo ingegno a piú nobili suoni, e sforzasi di piacere a Gannai, la quale, piú vaga del suono che alcuna dell’altre, l’incalza a sonare. Corre agli occhi di Eucomos la bellezza di lei con grazioso piacere: a questa si aggiungono li dolci pensieri. Egli in se medesimo loda molto la bellezza di colei, e stima beato colui cui gl’iddii faranno degno di possederla, e disidererebbe, se possibile essere potesse, d’essere egli. Con questi pensieri, Cupido, sollecitatore