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426 | il filocolo |
ti nuoce il mio peccato? Maladetta sia l’ora ch’io nacqui, e che amore mise negli occhi miei quel piacere, del quale tu, oltre al dovere, sempre se’ stato innamorato, poi che a questo fine dovevi venire. Oimè, ch’io mi dolgo che tu per adietro m’abbi campata all’altro fuoco, per ciò che, campando me, a te acquistasti morte. Io misera, degna di morire, volentieri muoio, né mi saria grave il sostenere prima ogni pena, e poi questa, sol che tu campassi. Ahi, quanto volentieri tal grazia a Dio e al mondo di manderei, se io credessi che conceduta mi fosse! Ma essi hanno avuto del nostro poco bene invidia, e però piú disposti a’ nostri danni, che a’ piaceri, non si moveriano ad alcun priego. O me misera, che quel giorno che ci diede al mondo, quel giorno la cagione di questa morte ne porse. Impossibile è ora alla tua madre credere che tu sia a questo partito; e i tuoi miseri compagni forse estimano che tu ora lietamente dimori, per ciò che, non essendo essi conosciuti, alcuno non dice loro questo accidente. Essi venuti líeti teco, ricercheranno dolenti, senza te, le ragguagliate acque, e lá dove me teco credevano presentare al tuo padre, la crudele morte di noi due racconteranno: per che il tuo regno, rimanendo vedovo, con dolore in eterno ti piangerá».
Queste parole mossero il forte animo di Filocolo, e le lagrime, lungamente costrette, con maggiore abbondanza uscirono da’ dolenti occhi, e cosí piangendo le cominciò a rispondere: «Quella pietá che io di me dovevo avere, non m’ha potuto vincere, che io con forte animo non abbia mostrato di sostenere pazientemente il piacere degl’iddii, ma, pensando a te, ha rotto il proponimento del debile animo. Tu meco insieme misera, per la mia vita prolungare, disideri piú pene che li fati non porgono, cara tenendo la morte, se io campassi, e fatti colpevole, dove manifestamente in me la colpa conosci. Ora in che hai tu offeso? Io ho fatto ogni male. Tu soavemente dormendo nel tuo letto fosti con ingegno da me usato assalita, per che io debitamente morire dovrei. Io sotto giusto giudice dovria per te ogni pena portare: la qual cosa se fosse, e tu campassi, grazioso mi saria molto; ma la fortuna,