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libro quarto | 425 |
saette. Essi fecero accendere due fuochi assai vicini alla torre, e fecero posare in terra Filocolo e Biancofiore, e tirargli appresso all’accese fiamme con villane parole. Quivi venuti, Fi1ocolo vide i due luoghi per la morte di loro due apparecchiati; ond’egli, senza mutare aspetto, alzò ’l viso verso Ircuscomos e disse: «Poi che agl’iddii e alla nimica fortuna e a voi piace che noi moriamo, siane conceduta in questa ultima ora una sola grazia, la quale, faccendotaci, niuna cosa del vostro intendimento menomeni. Noi miseri, dalla nostra puerizia in qua, sempre ci siamo amati, e ben che nostro infortunio sia stato il non potere mai coi corpi insieme dimorare, mai le nostre anime non furono divise: un volere, un amore ci ha sempre tenuti legati e congiunti, e un medesimo giorno ci diede al mondo: piacciavi che, poi che un’ora ci toglie, che similmente una medesima fiamma ci consumi. Siano mescolate le nostre ceneri dopo la nostra morte, e le nostre anime insieme se ne vadano». Ircuscomos, che mai non aveva apparato d’essere pietoso, faccendo sembianti di non averlo udito, comandò che com’era incominciato cosí i sergenti seguissero; ma Flaganeo, non meno crudele spirito, disse: «E che ci nuoce di fargli del suo medesimo danno grazia? Con quella forza ardono le fiamme i due, che l’uno: fiagli conceduto di morire con lei, con cui la colp commise».
Fu adunque Filocolo insieme con Biancofiore legato ad un palo, e intorniato di legne. Le quali cose mentre si facevano, Biancofiore piangendo rimirava Filocolo, e diceva con rotta voce e con vergogna: «O signore mio dolce, ove se’ tu con affanni e con pericoli venuto ad essere messo vivo nelle ardenti fiamme? Oimè, quanto è piú il dolore ch’io di te sento, che quello che di me mi fa dolere! Oimè, quanto m’è grave il pensare che tu per me sí vilmente sia dato a morire! I dolenti occhi non possono mostrare con le loro lagrime ciò che il cuore sente, qualora io ti guardo ignudo meco insieme tra tanto popolo disposto a morire. O anima mia, che hai tu commesso, che gl’iddii, che essere ti solevano benevoli, siano cosí contro te turbati e in tanta avversitá t’abbandonino? Perché