signore, per che i due amanti legati sono collati con lunga fune giu dalla torre: e acciò che ad alcuno non sia occulto il commesso peccato, vicini al prato rimangono sospesi. La rapportatrice fama con piú veloce corso rapportando il male, in un momento riempie i vicini popoli dell’avvenuto male: per che con abbandonato freno ciascuno corre al disonesto strazio, vaghi di vedere ciò che pietá fa loro poi debitamente spiacere. I sergenti votano la torre di loro, e armati con molti compagni guardano che alcuno non s’avvicini a’ pendenti giovani. I quali tanto legati pendono, quanto nel duro petto dell’amiraglio pende qual pena a tale offesa voglia dare; ma poi che con deliberato animo elesse che la loro vita per fuoco finisse, comandò che nel prato fossero posati, e quivi negli accesi fuochi fossero senza pietá messi, acciò che di loro facessero sacrificio a quella dea, le cui forze agli sconvenevoli congiugnimenti gli condussero. Udito il comandamento, i fuochi s’accesero, e i due amanti furono messi a terra, e ignudi con sospinti passi tirati all’ardenti fiamme. Piangendo Biancofiore cosí col suo amante sospesa, Filocolo con forte animo serrò nel cuore il dolore, e col viso non mutato né bagnato da alcuna sua lagrima sostenne il disonesto assalto della fortuna, la quale, perché l’angoscia dell’animo non menomasse, niuna sua felicita gli levò dalla memoria. Egli, vedendosi solo e senza speranza d’alcuno aiuto, le forze de’ suoi regni fra sé ripete, e quelle, per adietro poco amate, ora avria avuto molto care. Egli si duole degli abbandonati compagni, nesci di tale infortunio, da’ quali soccorso spererebbe, se credesse che ’l sapessono. Egli, pensando alla vile morte che davanti si vede apparecchiata, appena può le lagrime ritenere. Ma sforzando col senno la pietosa natura, quelle dentro ritenne, e dopo alquanto pensiero, con gli occhi a se medesimo vòlti, cosí fra sé cominciò a dire: «O inopinato caso! O nemica fortuna! Ora l’ultimo fine delle tue ire sopra me sazierai. Ora i lunghi tuoi affanni finirai. Tu per molti strabocchevoli pericoli m’hai recato a sí vile fine, non sostenendo piú volte, quando il morire m’era a grado,