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libro quarto 391


Fece adunque Sadoc in una fresca loggia distendere tappeti, e venire lo scacchiere, e l’uno dall’una parte e l’altro dall’altra s’assettarono. Ordinansi da costoro gli scacchi, e cominciasi il gioco, il quale acciò che puerile non paia, da ciascuna parte gran quantitá di bisanti si pongono, presti per merito del vincitore. Giocando adunque costoro, l’uno per guadagnare i posti bisanti, l’altro per perdere quelli e acquistare amistá, Filocolo giocando conosce sé piú sapere del giuoco che il castellano. Ristringe adunque Filocolo il re del castellano nella sua sedia con l’uno de’ suoi rocchi e col cavaliere, avendo il re alla sinistra sua l’uno degli alfieri; il castellano assedia quello di Filocolo con molti scacchi, e solamente un punto per sua salute gli rimane nel salto del suo rocco. Ma Filocolo a cui giocare conveniva dove muovere doveva il cavaliere suo secondo per dare scacco matto al re, e conoscendolo bene, mosse il suo rocco, e nel punto rimaso per salute al suo re il pose. Il castellano lieto cominciò a ridere, veggendo ch’egli matterá Filocolo dove Filocolo avria lui potuto mattare, e dandogli con una pedona pingente scacco quivi il mattò, a sé tirando poi i bisanti, e ridendo disse: «Giovane, tu non sai del giuoco», avvegna che bene s’era avveduto di ciò che Filocolo aveva fatto, ma per cupidigia de’ bisanti l’avea sofferto, infignendosi di non avvedersene. A cui Filocolo rispose: «Signor mio, cosí apparano i folli». Racconciasi il secondo giuoco, e la quantita de’ bisanti si raddoppia da ciascuna parte. Il castellano giuoca sagacemente e Filocolo non meno. Il castellano niuno buon colpo muove ch’egli non dicesse: «Giovane, meglio t’era il tuo falcone lasciare andare che qui seguitarlo». Filocolo tace, mostrando che molto gli dolgano i bisanti: e avendo quasi a fine recato il giuoco, ed essendo per mattare il castellano, mostrando con alcun atto di ciò avvedersi, tavolò il giuoco. Conosce in se medesimo il castellano la cortesia di Filocolo, il quale piú tosto perdere che vincere disidera, e fra sé dice: «Nobilissimo e cortesissimo giovane è costui piú che alcuno ch’io mai vedessi». Racconciansi gli scacchi al terzo giuoco, accrescendo ancora