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libro quarto 359

quistioniamo, sí come prima dicemmo, che ogni mondano diletto si debba piú tosto prendere che mondana noia ne segua, anzi che mondana noia per mondano diletto aspettare: però che chi tempo ha e tempo aspetta, tempo perde. Concede la fortuna con varii mutamenti i suoi beni, li quali piú tosto sono da pigliare quando li dá, che volere affannare per dopo l’affanno averli. Se la sua ruota stesse ferma, insino che l’uomo avesse affannato, per non dovere piú affannare, diremmo che si potrebbe consentire di pigliare in prima l’affanno: ma chi è certo che dopo il male non possa seguire peggio, come il bene che s’aspetta? I tempi insieme con le mondane cose sono transitorii. Prendendo la vecchia, prima che l’anno compia, il quale non parrá che mai venga meno, potrá la giovane morire, e i fratelli di lei pentersi, o essere donata altrui, o forse rapita, e cosí dopo il male il peggio seguirá al prenditore; ma se la giovane fia presa, avranne il prenditore primieramente il suo disio tanto tempo da lui disiderato, e appresso non gli seguirá quella noia che voi dite che nel pensiero gli deve seguire: però che il dovere morire è infallibile, ma il giacere con una vecchia è accidente da potere con molti rimedii dall’uomo savio cessare. E le mondane cose sono da essere prese da’ discreti con questa legge, che ciascuno mentre le tiene le goda, disponendosi con liberale animo a renderle, overo a lasciarle, quando richieste saranno. Chi affanna per riposare, manifesto esempio ne porge che riposo senza quello avere non puote, e poi che egli prende l’affanno per avere il riposo, quanto piú è da presumere che se il riposo gli fosse presto come l’affanno, ch’egli piú tosto quello che questo prenderebbe? E non è da credere che se Leandro avesse potuto avere Ero senza passare il tempestoso braccio del mare dov’egli poi perí, ch’egli non l’avesse piú tosto presa che notato? Convengonsi le cose della fortuna pigliare quando sono donate. Niuno sí picciolo dono è che migliore non sia che una grande promessa: prendansi alle future cose rimedii, e le presenti secondo le loro qualitá si governino. Naturale cosa è dovere piú tosto il bene che il male pigliare,