aveva fatto Arianna a Teseo, per la quale, rompendo i matrimoniali patti, e dando sé a’ venti con la donata fede, misera la dovesse ne’ diserti scogli abbandonare? Un poco di piacere, veduto negli occhi di Fedra dallo scellerato, fu cagione di tanto male, e di cotal merito del ricevuto onore. In costui ancora niuna legge si trova: e che ciò sia vero, mirisi all’opere di Tereo, il quale, ricevuta Filomena dal pietoso padre, a lui carnale cognata, non dubitò di contaminare le sagratissime leggi tra lui e Progne, di Filomena sorella, matrimonialmente contratte. Questi ancora, chiamandosi e faccendosi chiamare iddio, le regioni degl’iddii occupa. Chi potrebbe mai le iniquitá di costui con parole contare appieno! Egli, brievemente, ad ogni male mena chi lo segue: e se forse alcune virtuose opere fanno i suoi seguaci, che avviene rado, con vizioso principio le incominciano, disiderando per quelle piú tosto venire al disiderato fine del laido lor volere. Le quali non virtú ma vizi piú tosto si possono dire, con ciò sia cosa che non sia da riguardare ciò che l’uomo fa, ma con che animo, e quello o vizio o virtú reputare, secondo la volonta dell’operante: però che giá mai cattiva radice non fece buono arbore, né cattivo arbore buon frutto. Adunque è reo questo amore, e se egli è reo, è da fuggire: e chi le malvage cose fugge, per conseguente segue le buone, e cosí è buono e virtuoso. Il principio di costui niuna altra cosa è che paura, il suo mezzo è peccato, e il suo fine è dolore e noia: deesi adunque fuggire e riprovarlo e temere d’averlo in sé, però che egli è impetuosa cosa, né in alcuno suo atto sa aver modo, ed è senza ragione. Egli è senza dubbio guastatore degli animi, e vergogna e angoscia e passione e dolore e pianto di quelli, e mai senza amaritudine non consente che stia il cuore di chi lo tiene. Dunque chi loderá che questi sia da seguire, se non gli stolti? Certo, se lecito ne fosse, volontieri senza lui viveremmo, ma di tal danno tardi ci accorgiamo, e convienci, poi che nelle sue reti siamo incappati, seguire la sua volontá, infino a tanto che quella luce, la quale trasse Enea da’ tenebrosi passi, fuggendo i pericolosi incendii, apparisca a noi, e tirici a’ suoi piaceri.»