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340 il filocolo


«Molto t’inganna il parer tuo» rispose la reina; «e di ciò non è maraviglia, però che tu se’, secondo il nostro conoscimento, piú ch’altro innamorato, e senza dubbio il giudizio degli innamorati è falso, però che il lume degli occhi della mente hanno perduto, e da loro la ragione come nemica hanno cacciata. Adunque, a noi converrá alquanto, oltre al nostro volere, d’amore parlare: di che ci duole, sentendoci a lui soggetta, ma per trarti d’errore, il lecito tacere in vere parole rivolgeremo. Noi vogliamo che tu sappi che quest’amore niun’altra cosa è che una irrazionabile volontá, nata da una passione venuta nel core per libidinoso piacere che agli occhi è apparito, nutricato per ozio da memoria e da pensieri nelle folli menti: e molte volte in tanta quantitá multiplica, che egli leva la intenzione di colui in cui dimora dalle necessarie cose, e disponla alle non utili. Ma però che tu esemplificando ti ingegni di mostrare da costui ogni bene e ogni virtú procedere, a riprovare i tuoi esempli procederemo. Non è atto d’umilta l’altrui cose ingiustamente a sé arrecare, ma è arroganza e sconvenevole presunzione: e certo queste cose usò Marte, come tu sai, per amore divenuto umile, a levare a Vulcano Venere sua legittima sposa. E senza dubbio quell’umiltá, che nel viso appare agli amanti, non procede da benigno cuore, ma da inganno prende principio. Né fa quest’amore i cupidi liberali, ma quando in tanta copia, quanta poni che in Medea fu, abbonda ne’ cuori, quelli del mentale vedere priva, e delle cose, per adietro debitamente avute care, stoltamente diventa prodigo, e, quelle non con misura donando, ma disutilmente gittando, crede piacere, e dispiace a’ savi. Medea, non savia, della sua prodigalitá assai in brieve tempo senza suo utile si penté, e conobbe che se moderatamente i suoi cari doni avesse usati, non sarebbe a sí vile fine venuta. E quella sollecitudine, la quale in danno de’ sollecitanti s’acquista o s’adopera, non ci pare per alcuno da dovere essere cercata: molto vale meglio ozioso stare che male adoperare, ancora che né l’uno né l’altro sia da lodare. Paris fu sollecito alla sua distruzione, se ’l fine di tale sollecitudine si riguarda. Menelao