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libro quarto | 333 |
Rispose allora la donna: «Gentil reina, vera cosa è che amore, ov’egli moderatamente dimora, temenza e vergogna conviene del tutto che usi; ma la ove egli in tanta quantitá abbonda, che agli occhi dei piú savi leva la vista, come giá per adietro si disse, dico che temenza non ha luogo, ma i movimenti di chi ciò sente sono secondo che egli sospigne: e però quella giovane, vedendosi dinanzi il suo disio, tanto s’accese, che, abbandonata ogni vergogna, corse a quello di che era sí forte stimolata, che inanzi sostenere non potea. L’altra, non tanto infiammata, servò piú gli amorosi termini, vergognandosi, e rimanendo come voi dite. Adunque ama piú quella, e piú dovria essere amata».
«Savia donna» disse la reina, «veramente a’ piú savi leva amore soperchio la veduta e ogni altro debito sentimento, e questo è alle cose che sono fuori di sua natura; ma quelle che a sé appartengono, come egli cresce cosí crescono. Adunque, quanta maggior quantitá d’esso in alcuno si trova, e cosí del timore, come in prima dicemmo, si dee trovare. E che questo sia vero, lo scelerato ardore di Biblis lo ci manifesta, la quale quanto amasse si dimostrò nella sua fine, vedendosi abbandonata e rifiutata: né giá per questo ebbe ella ardire di scoprirsi con le proprie parole, ma scrivendo il suo sconvenevole disio palesò. Similmente Fedra piú volte tentò di volere ad Ipolito, a cui, come a dimestico figliuolo, poteva arditamente parlare, dire quant’ella l’amava, né era prima la sua volontá pervenuta alla bocca per proferirla, che, temendo, in su la punta della lingua le moriva. O quanto è timoroso chi ama! Chi fu piú possente che Alcide, al quale non bastò la vittoria delle umane cose, ma ancora a sostenere il cielo si mise! E ultimamente non di donna, ma d’una guadagnata giovane s’innamorò tanto, che come umile suggetto, e temendo li comandamenti di lei, faceva le minime cose! E ancora Paris, quello che né con gli occhi né con la lingua ardiva di tentare, col dito avanti alla sua donna del caduto vino scrivendo primieramente il nome di lei, appresso scriveva: ‛io t’amo’! Quanto ancora sovra tutti questi ci porge debito esempio di temenza