lasciò Spagna, l’Africa tutta, e cercò l’Isola di Creti: di quindi Pelio, Otris e Ossa, il monte Nereo, Pachino, Peloro e Appennino in brieve corso cercò tutti, da tutti svellendo e segando con aguta falce quelle radici ed erbe che a lui piacevano, né dimenticò quelle che divelte aveva quando da Tarolfo fu trovato in Tesaglia. Egli prese pietre sul monte Caucaso e dell’arena di Gange, e di Libia recò lingue di velenosi serpenti. Egli vide le bagnate rive del Rodano, di Senna di Parigi, del gran Po, d’Arno, dello imperial Tevere, di Tanai e del Danubio, di sopra quelle ancora pigliando quelle erbe che a lui parevano necessarie, e queste aggiunse all’altre colte nelle sommitá de’ salvatichi monti. Egli cercò l’isola di Lesbos, e quella di Colco, e Patmos, e qualunque altra nella quale sentito avesse cosa utile al suo intendimento. Con le quali cose, non essendo ancora passato il terzo giorno, venne in quel luogo onde partito s’era: e i dragoni, che solamente gli odori delle prese erbe avevano sentito, gittando lo scoglio vecchio per molti anni, erano rinnovellati e giovani ritornati. Quivi smontato, d’erbosa terra due altari compose, dalla destra mano quello d’Ecate, dalla sinistra quello della rinnovellante dea. I quali fatti, e sopra essi accesi divoti fuochi, co’ crini sparti sopra le vecchie spalle, con quieto mormorio cominciò a circuire quelli: e col raccolto sangue piú volte intinse le ardenti legna. Poi riponendole sopra gli altari e tal volta con esse inaffiando quel terreno il quale egli aveva per lo giardino disposto, dopo questo, quello medesimo tre volte di fuoco, d’acqua e di zolfo rinaffiò. E poi posto un grandissimo vaso sopra l’ardenti fiamme, pieno di sangue, di latte e d’acqua, quello fece per lungo spazio bollire, aggiungendovi l’erbe e le radici colte negli strani luoghi, mettendovi ancora con esse diversi semi e fiori di non conosciute erbe, e aggiunsevi pietre cercate nello estremo oriente, e brina raccolta le passate notti, insieme con carni e ale d’infamate streghe, e de’ testicoli del lupo l’ultima parte, con squama di cinifo e con pelle di chilindro, e ultimamente un fegato con tutto il polmone d’un vecchissimo cervo: e, con queste, mille altre cose, e senza nomi