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libro quarto 311

Quistione IIII.

Era nella vista contenta la gentil donna, quando Menedon, che appresso di lei sedeva, disse: «Altissima reina, ora viene a me la volta del proporre nel vostro cospetto, ond’io con la vostra licenza dirò. E da ora, s’io nel mio parlare troppo mi distendessi, a voi e appresso agli altri circustanti dimando perdono, però che quello ch’io intendo di proporre interamente dare non si potrebbe a intendere, se a quello una novella, che non fia forse brieve, non precedesse». E dopo queste parole cosí incominciò a parlare: «Nella terra lá dove io nacqui, mi ricorda essere un ricchissimo e nobile cavaliere, il quale di perfettissimo amore amando una donna nobile della terra, per isposa la prese. Della quale donna, essendo bellissima, un altro cavaliere chiamato Tarolfo s’innamorò e di tanto amore l’amava, che oltre a lei non vedeva niuna cosa, né piú disiava, e in molte maniere, forse con sovente passare davanti alle sue case, o giostrando, o armeggiando, o con altri atti, s’ingegnava d’avere l’amore di lei: e spesso mandandole messaggieri, forse promettendole grandissimi doni, per sapere il suo intendimento. Le quali cose la donna tutte celatamente sostenea, senza dare segno o risposta buona al cavaliere, fra sé dicendo: «Poi che questi s’avvedrá che da me né buona risposta né buono atto puote avere, forse elli si rimarrá d’amarmi e di darmi questi stimoli». Ma giá per tutto questo Tarolfo di ciò non si rimaneva, seguendo d’Ovidio gli ammaestramenti, il quale dice: ‛L’uomo non dee lasciare per durezza della donna di non perserverare, però che per contínuanza la molle acqua fora la dura pietra’. Ma la donna, dubitando non queste cose venissero a orecchie del marito, ed egli pensasse poi che con volontá di lei questo avvenisse, propose di dirgliele; ma poi mossa da miglior consiglio disse: «Io potrei, s’io il dicessi, commettere tra loro cosa che io mai non viverei lieta: per altro modo si vuole levar via»; e imaginò una sottile malizia. Ella mandò cosí dicendo a