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libro quarto 283

quelli, confortati, sperando che quella dea che dalle insidie di Florio ti levò, come le fu agevole a rendere lo sbranato Ippolito vivo con intera forma, cosí te nel pristino stato potrá, a’ suoi servigi recandoti, rintegrare». La chiara fonte, finite le parole di Filocolo, tutta enfiò, e con le sue onde passò gli usati termini, producendo un nuovo soffiamento, ma piú a Filocolo non parlò, il quale lungamente alcuna parola attese. Ma poi che per lungo spazio fu dimorato, e quella riposata vide sí come quando prima col nappo mossa l’avea, egli si dirizzò, e con li compagni suoi, di questa cosa tutti maravigliandosi, incominciarono a ragionare, dolendo a ciascuno del misero avvenimento di Fileno, dicendo: «O quanto è dubbiosa cosa nella palestra d’Amore entrare, nella quale il sottomesso arbitrio è impossibile da tal nodo slegare, se non quando a lui piace. Beati coloro che senza lui vita virtuosa conducono, se bene guardiamo i fini a’ quali egli i suoi suggetti conduce. Chi avrebbe ora creduto che nel salvatico paese trovare Fileno convertito in fontana di lagrime, il qual fu il piú gaio cavaliere e il piú leggiadro che la nostra corte avesse? Chi potrebbe pensare Filocolo, figliuolo unico dell’alto re di Spagna, essere per amore divenuto pellegrino, e andare cercando le strane nazioni poste sotto il cielo, e ora in questo luogo trovarsi in questo tempo?». A questo rispose Filocolo dicendo: «L’essere qui venuto m’è assai caro; né per cosa alcuna vorrei non esserci stato, però che mirabile cosa e da notare abbiamo veduto nel diserto luogo, il quale n’è stato dagl’iddii comandato d’onorare, e detto il perché. Certo io non so in che atto il possa avanti di piú onore accrescere che io m’abbia fatto, rinnovando il santo tempio e il suo altare». A cui Ascalione disse: «Noi andremo secondo il santo consiglio, e fornito il nostro cammino e ricevuta la cercata cosa, nel voltare de’ nostri passi il tornar qui non ci fallirá, e allora quell’onore che in questo mezzo avremo ne’ nostri animi diliberato di fare, faremo e agl’iddii e al luogo, però che gl’iddii, solleciti a’ beni dell’umana gente, niuna utilitá pe’ nostri doni ci concedono, ma poi che