Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
266 | il filocolo |
volessero i fati ch’ella fosse ora qui, che io giuro, per quegl’iddii che mi sostengono, che io piú miseramente di qui partire vi farei che Saturno, da Giove cacciato, non si partí da Creti! E allora provereste qual fosse l’andare tapini per lo mondo, come a me converrei provare, infino a tanto ch’io ritroverò colei la quale con tutti ingegni vi siete di tòrmi ingegnati. E certo se non fosse che io non ho il core di pietra, sí come voi avete, io non vi lascerei di dietro a me con la vita, ma non voglio che di tale infamia, pellegrinando, la coscienza mi rimorda. Voi avete disiderata la mia morte, della quale poi che gl’iddii non ve n’hanno voluti far lieti, né io altresí ve ne voglio rallegrare, ma inanzi voglio lontano a voi vivere che presenzialmente della morte rallegrarvi».
Faceva la reina grandissimo pianto, mentre che Florio diceva queste parole, dicendo: «Oimè, caro figliuolo, che parole son queste che tu di? Cessino gl’iddii che tu possa vedere di noi ciò che tu ne disideri di vedere, avvegna che niuna maraviglia sia del tuo parlare, imperciò che, sí come adirato, parli senza consiglio. Niuna creatura t’amò mai tanto, né potrebbe amare, quanto tuo padre e io t’abbiamo amato e amiamo: e ciò che noi abbiamo fatto, solamente perché la tua vita piú gloriosa si consumi, che oramai non fará, l’abbiamo adoperato. Adunque perché ci chiami crudeli, e disideri la nostra morte? Maladetta sia l’ora che il tuo padre gl’innocenti pellegrini assalí. Ora avesse egli almeno tra tanta gente uccisa colei che nel suo ventre la nostra distruzione in casa ci recò! Ella niuna cosa disiderava tanto quanto la morte, e intra mille lance stette e niuna l’offese. I suoi iddii, piú giusti che’ nostri, non vollero che tale ingiuria rimanesse impunita. Ora mi veggio venire adosso quello che detto mi venne ignorantemente, quando la maladetta giovane per noi nacque, la quale recandolami in braccio, dissi lei dovere essere sempre compagna e parente di te. Ora il veggio venire a esecuzione».
Il re in un’altra camera dimorava dolente, in sé tutti i casi ripetendo dall’ora che il misero Lelio aveva ucciso infino a quest’ora, maladicendo sé e la sua fortuna; e, ricordandosi di