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libro terzo | 257 |
ferma l’ordita conocchia, composta da Cloto tua fatale sorella, non lasciare ancora il dilettevole uficio, dove sí corto affanno infino a qui hai sostenuto. E tu, o morte, generale e infallibile fine di tutte le cose, in cui la maggior parte della mia speranza dimora, quasi imaginando che in te stia quella salute la quale io cerco, non mi consumare ferendo la mia Biancofiore: dilungati da lei per li miei prieghi. In te sta il donarlami e il torlami. Deh, non essere tuttavia crudele! Vincasi questa volta la tua fierezza, e pietosa ti volgi a riguardare con quanta umiltá i miei prieghi ti sono porti, e riguarda quanta sia la noia che ricevo, se contra la bella giovane incrudelisci. Oimè, che io nol posso dire, ma il mio aspetto te lo deve manifestare. Oimè, perdona, risparmiando un solo colpo, allo infinito valore che dal mondo si partirebbe morendo questa. Perdona a tanta bellezza quant’ella possiede. Non si fugga per te tanta leggiadria quanta in costei si vede, né si diparta per lo tuo operare il fedele amore che insieme lungamente ci ha tenuti legati con pura fede, il quale a mano a mano se la ferissi, per lo tuo medesimo colpo si ricongiungerebbe. Aimè, raffrena per Dio il tuo volere: leva la pungente saetta che giá in sul tuo arco mi pare veder posta, per uccidere colei in cui gl’iddii piú di grazia che in alcuna altra posero. Sostieni che nel mondo si veggia costei per mirabile esempio delle celestiali bellezze. Se alcuni prieghi ti deono far pietosa, faccianti i miei, e questo sia senza indugio alcuno. Io non temo niuna cosa se non te. Riguarda le mie lagrime, e il palido aspetto giá dipinto della tua sembianza: solo questa grazia mi concedi, la quale se dura t’è a concederlami, concedi che quella saetta che il tuo arco dee nel dilicato petto di lei gittare, prima il mio trapassi, acciò che dopo il trapassare della mia Biancofiore io non rimanga per doverti biasimare, e piú la tua crudeltá far manifesta nella poca vita che mi lascerai».
Mostravasi giá il cielo d’infiniti lumi acceso, quando cosí piangendo e parlando Florio entrò in Marmorina: per la quale tacito e senza niuna festa, maravigliandosi e dubitando, passò