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256 | il filocolo |
s’era fuggito del bel viso, e la vita appena in alcun polso si ritrovava; ma poi ch’egli pure fu per alcuni in vita ancora essere conosciuto, con preziosi unguenti e acque, dopo molto spazio, con molta sollecitudine furono i suoi spiriti rivocati: e tornato in sé aperse gli occhi, e intorno a sé vide il duca e Ascalione piangendo, i quali con pietose parole il riconfortavano, e altri molti con loro. A’ quali egli dopo un grandissimo sospiro disse: «Oimè, perché m’avete voi, credendo piacere, disservito? L’anima mia giá contenta andava per li non conosciuti secoli vagando senza alcuna pena, ma voi ora a dolersi l’avete richiamata. Oimè, ora sento che la lunga paura, che i’ ho avuta della vita di Biancofiore, m’è nell’avvisato modo con pericoloso accidente venuta adosso. Quale infermitá potrebbe sí subita sopravvenire a una fresca giovane, che a morte in un momento la inducesse? Fermamente che a forza è da’ miei parenti stata la mia Biancofiore a questa morte recata, se morta è, o se ora morra». E levatosi, comandò che i cavalli venissero, e preso il cammino con molta compagnia, cercando giá il sole l’occaso, sempre piangendo se n’andò verso Marmorina, cosí nel suo pianto dicendo:
«O gloriosi iddii, della cui pietá l’universo è ripieno, porgete le sante orecchie alquanto a’ prieghi miei, e non mi sia da voi negata l’usata benignita tornando crudeli: discenda da’ cieli il vostro aiuto in questo espressissimo bisogno. Venga la vostra grazia, d’ogni noioso accidente cacciatrice, sopra la innocente giovane Biancofiore, la quale ora per noiosa infermitá pare che si disponga a rendervi la graziosa anima. Sostengasi per vostra pietá la sua vita, e siale renduta la perduta sanitá, e la giovane etá, nella quale essa dimora, prima di lei si consumi. Non muoiano in una morte due amanti. O buono Apollo, o luminoso Febo per cui ogni cosa ha vita, ascolta i miei prieghi! Non consentire che tanta bellezza alla tua simigliante per mortal colpo al presente perisca. O Citerea, o Diana, aiutate la vostra giovane. O qualunque iddio dimora nel celestiale coro, sturbate da costei morte, acciò che io, a voi fedelissimo servidore, viva. O Lachesis, tieni