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libro terzo 249

temetti di morire, tu da quel pericolo mi campasti: perché ora piú grave t’è in questo bisogno aiutarmi? Io mi diparto dal mio Florio, né so quali paesi fieno cercati da me: e se io credessi propriamente ne’ tuoi regni venire ad abitare, e’ mi sarebbero noiosi senza Florio. Dunque comanda che come la saetta del tuo figliuolo con dolcezza mi passò il core per la piacevolezza di Florio, a me tornata in grave amaritudine, che ella mi si converta in mortal piaga, e tosto. Non consentire che io piú viva languendo. Muovanti tante lagrime, quant’io mando nel tuo cospetto, a questa sola grazia concedermi: e se a te forse la mia morte non piace, riconfortami la seconda volta col tuo santo raggio, il quale nell’oscura prigione, ov’io per adietro a torto fui messa, mi consolò faccendomi sicura compagnia. Io vo senza alcuna speranza, se da te non m’è porta. Deh, non mi lasciare in tanta avversitá disperata, ma come il tuo pietoso Enea negli africani liti, a’ quali io, piú ch’io non disidero, giá m’appresso, confortasti con trasformata imagine, cosí di me ti dolga, e fammi degna del tuo soccorso. A te niuna cosa s’occulta. Il mio bisogno tu il sai: provvedimi senza indugio, acciò che il numero delle mie miserie non multiplichi. E tu, o vendicatrice Diana, nel cui coro io per difetto di virginitá non avrei minor loco, aiutami: io sono ancora del tuo numero, e disidero d’essere infino a quel tempo che l’inghirlandato Imeneo mi penerá a concedere liete nozze. Concedi che io possa i tuoi beneficii interi servare al mio Florio, al quale se i miei fati non concedono che essi pervengano, prima la morte m’uccida, che quelli tolti mi sieno». E mentre che Biancofiore queste parole tra sé tacita pregando dicea, soave sonno sopravvenutole, le parole e le lagrime insieme finirono.

Diana, che dagli alti regni conosceva la miseria in che Biancofiore era venuta per le operazioni di lei, in sé medesima si reputò essere vendicata del non ricevuto sacrificio, e temperò le sue ire con giusto freno, e le sante orecchie piegò a’ di voti prieghi di Biancofiore; e li suoi scanni lasciati, a quelli di Venere se n’andò, e cosí le disse: «O Venere, sono