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246 il filocolo

facciano gl’iddii di me ciò che piace loro: niuno uomo fu mai amato da me se non Florio, e Florio amo e lui amerò sempre. Nulla cosa mi duole tanto, quanto il perduto tempo, nel quale giá potemmo i disiderati diletti prendere e non li prendemmo, ma quello ozioso lasciammo trascorrere, pensando che mai fallare non ci dovesse: ora conosco che chi tempo ha e quello attende, quello si perde. O misero Fileno, in qualunque parte tu vagabondo dimori, rallegrati, che io, cagione del tuo esilio, ti sono fatta compagna con piú misera sorte. A te è lecito di tornare, ma a me è negato. Tu ancora la tua libertá possiedi, ma la mia è venduta. Gl’iddii e la fortuna ora mi puniscono de’ mali che tu per me sostieni: ma certo a torto ricevo per quelli ingiuria, ché, come essi sanno, mai io non dimostrai lieto sembiante se non costretta dalla iniquissima madre di colui di cui io sono. Oimè, quanto m’è la fortuna contraria! Ma certo ciò non è maraviglia, con ciò sia cosa che i figliuoli debbano succedere a’ parenti ne’ loro atti: chi piú infortunato fu che il mio padre e la mia misera madre, avvegna che di tutto io fossi cagione? E se io di ciò fui cagione, dunque maggiormente conviene che io infortunata sia, anzi posso dire che io sia esso infortunio. Rallegrinsi le loro anime ove che esse sieno: io porto pena del commesso male. O iddii, provvedete alla mia miseria, poneteci fine. O Nettunno, inghiottisci la presente nave, acciò che la misera perisca. Racchiudi sotto le tue onde in un corpo tutte le miserie, acciò che il mondo riposi: esse sono tutte adunate in me; se tu me nelle tue acque raccogli, tutte l’avrai in tua balia, e potrai poi di quelle dare a chi ti piacerá. E tu, o Eolo, leva co’ tuoi venti le triste vele, che al mio disio mi fanno lontana. Ov’è ora la rabbia de’ tuoi suggetti, che a’ troiani levò gli alberi e i timoni, e parte de’ loro uomini e delle navi? Risurga, acciò che piú non sia portata avanti. Io disidero di morire ne’ mari vicini al mio Florio, acciò che il misero corpo, portato dalle salate acque sopra i nostri liti, muova a pietá colui di cui egli è, e da capo con le proprie lagrime il bagni. Almeno abbassa la potenza del fresco vento che ci pinge alla